Cronaca locale

Lascia gli Usa, torna e sfonda con la "start-up" del grafene

Ingegnere milanese dice addio a una multinazionale, punta sulle nanotecnologie e con 27 giovani fa il boom

Lascia gli Usa, torna e sfonda con la "start-up" del grafene

«Il futuro entra nelle nostre vite da una porta di servizio». Il futuro ha bussato alla porta di Giulio Cesareo mentre si trovava in un pub di Cleveland, in Ohio. Ingegnere meccanico nato a Milano, master in Bocconi e a Stanford, dopo una gavetta in giro per il mondo, da anni lavorava tra Italia e Usa come dirigente in una grande multinazionale, settore produzione e lavorazione della grafite.

Quel giorno, fra i sorrisetti di sufficienza dei colleghi, decise di aprire quella «porticina». Ha scommesso tutto sul futuro, e anche sull'Italia, e su Milano: «L'Italia è la seconda manifattura europea - dice - siamo molto migliori di come ci dipingono». Ha scommesso sul piccolo, e sulle nanotecnologie. «Nano is big. Verso il grafene per tutti» si intitola il suo libro. Era il febbraio 2005 quando prese la decisione. L'idea fu sua. Quel gran genio del suo amico americano fece il resto, mettendo a fuoco le opportunità del grafene, il materiale del futuro. Il grafene era già conosciuto da 60 anni, ma è stato «isolato» nel 2004 all'Università di Manchester da due scienziati russi che - svelando le eccezionali proprietà di questo foglio di carbonio dello spessore di un atomo - nel 2010 vinsero il Nobel per la fisica.

Il grafene è molto leggero, ha un'alta conducibilità elettrica e termica, e sbalorditive proprietà meccaniche: è il materiale più forte del mondo, con un carico di rottura 200 volte maggiore dell'acciaio. Grazie alla sua morfologia fa da barriera a liquidi e gas, dando impermeabilità alle matrici che lo ospitano. Fra le qualità «geopolitiche» inoltre, il grafene può essere reperito in molti Paesi - a differenza di altri non si trova solo in Cina.

Cesareo ha avuto un'intuizione, è passato dalla grafite al grafene e dalle logiche di una multinazionale alla sua start-up. Pochi mesi dopo quel Nobel ai russi infatti, nel 2011 la «Directa plus» di Giulio Cesareo ha ricevuto l'approvazione del primo brevetto per la produzione. Adesso conta 20 brevetti approvati e 17 in attesa di approvazione. La produzione è nel parco tecnologico di Lomazzo, in quella che un tempo era una stazione ferroviaria. Il processo produttivo è su tre passaggi: a una temperatura altissima, pari a quella della superficie sociale, gli strati di grafene si staccano, con un processo solo fisico, non chimico. «Questa è la pietra angolare sulla quale abbiamo inventato la nostra attività», racconta. L'altra colonna, il vero patrimonio di Directa plus, è quello che Cesareo definisce «un meraviglioso gruppo di ragazzi, bravi come quelli californiani o di Singapore». In azienda lavorano in 27, quasi tutti under 35, donne e uomini con competenze assortite. Ingegneri, strutturisti, fisici, c'è anche un veterinario. «Gente in gamba, giovanissimi». La figura chiave nel settore ricerca e sviluppo, Laura Rizzi, Cesareo l'ha conosciuta quando preparava una tesi sul grafene. Le ha finanziato una borsa di studio per master e dottorato al Politecnico. «Tutti insieme abbiamo costruito un sogno» dice. L'azienda dal 2016 è quotata all'Aim di Londra, in borsa ha raccolto 16 milioni. E se nel 2017 il fatturato era di 0,9 milioni, nel 2018 è a 2,3 milioni. I collaboratori sono parte e anima del sogno. E vengono incentivati a provare, a contraddire, a sbagliare se necessario. «Siamo dei praticoni» racconta, evocando la passione che non parte dalla nozione astratta ma dall'esperienza.

Oggi il grafene è usato nelle giacche a vento, nelle tute da sci perché diminuisce l'attrito, negli pneumatici perché aumenta la resistenza, la tenuta in curva e la velocità, ma anche nel filo per le stampanti 3D, e nei tubi idraulici. Cesareo è appena tornato dall'Oman, dove hanno provato con successo a usarlo in esercitazioni per assorbire lo sversamento in mare di idrocarburi.

E il sogno prosegue.

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