Cronaca locale

L'ascoltatore è molesto? Condannato per stalking

Telefonate continue per intervenire in trasmissione: un fedelissimo di Radio Popolare pagherà 100 euro

L'ascoltatore è molesto? Condannato per stalking

Adesso sarà la Cassazione a doversi occupare della lunga lotta tra il signor Mino e Radio Popolare. E in un certo senso davanti ai giudici della Suprema Corte non ci sarà solo questo cocciuto ascoltatore della emittente storica della sinistra milanese ma una intera, e ben conosciuta, categoria umana: quelli che chiamano le radio «per dire la loro». Ma lo fanno con costanza incontenibile, bombardando di telefonate a qualunque ora del giorno e della notte, facendo incursione in trasmissioni di ogni argomento, impadronendosi dell'etere per convincere il mondo dei loro argomenti mentre invano i poveri conduttori cercano di riportarli sul seminato.

A rendere particolare la storia di Mino e Radiopop, è che a un certo punto la radio non ne ha più potuto, e ha denunciato l'ascoltatore alla magistratura accusandolo di «molestie telefoniche». É andata a finire che il giudice lo ha condannato a 100 euro di ammenda, facendo di lui il primo telefonista compulsivo condannato come stalker della sua radio. Lui non si è arreso. E ha deciso di presentare ricorso in Cassazione, accusando il giudice di avere celebrato il processo senza esaminare le sue prove a difesa, e prendendo per oro colato ciò che diceva Radio Popolare.

Le carte del ricorso di Mino sono uno spaccato interessante dei sistemi che le radio impiegano per difendersi dagli ascoltatori troppo loquaci, e della contromisure che i martellatori mettono in campo per aggirare tali difese. «Nel 2007 - ha spiegato al pubblico ministero - impiantarono un nuovo centralino con otto linee circa capace di essere istruito per respingere elettronicamente la telefonata proveniente dal numero sgradito», ha spiegato in udienza l'imputato. Aggiungendo di avere replicato iniziando a noleggiare schede sim una dopo l'altra, per poter continuare a chiamare senza essere scoperto se non dopo il fatidico «sei in onda!». Complessivamente, l'ascoltatore avrebbe comprato la bellezza di ben 72 schede telefoniche. Eppure, anche di quelle in qualche modo la radio sarebbe riuscita a scoprire l'identità, e a bloccare le chiamate che ne partivano. «Io ne avevo sempre in uso poche, ma sono diventate tante perché ogni volta, dopo una sola telefonata, quel numero lì non era più utilizzabile. E io dovevo andarne ad acquistare un altro per poter soprattutto conclamare ciò che veniva attuato», ha spiegato l'ascoltatore al pm durante un'udienza. E ha aggiunto: «Alcune volte la stessa sim appena acquistata era già inutilizzabile dalla prima telefonata, quindi avevano avuto modo di ricevere una segnalazione da qualcuno del mio acquisto».

La domanda vera è: ma cosa aveva di così importante da dire, il signor Mino? Quale urgenza lo spingeva fino a chiamare trentasette volte lo stesso giorno? «Io non è che abusavo, io volevo parlare»: ma di cosa? Dalle carte, si direbbe di un po' di tutto: a volte chiama per citare Allende, altre per difendere Ratzinger. «Spesso mi veniva detto, come lo fanno anche con molti altri, di uscire, di non attenermi al tema, ma perchè? Perchè la peculiarità del mio impegno non è quello della lamentela ma, sulla problematica, cercare di individuare, suggerire, sempre nel breve tempo, da quali possono essere le cause, e quali i possibili rimedi. Questa caratteristica non era gradita».

Ma dove sta il confine tra il diritto dell'ascoltatore di manifestare le sue idee nella moderna agorà dell'etere, e la possibilità per una radio di difendersi dai martellamenti? La parola alla Cassazione.

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