Cronaca locale

L'orto di Albina e i 26 anni per «sfrattarlo»

L'incredibile storia dei ricorsi contro il Comune per i capanni spuntati nel Parco Sud

Luca Fazzo

Niente da fare, via alle ruspe. C'è voluta la bellezza di ventisei anni, ma il Comune di Milano è riuscito a farsi dare ragione dal Tar nella sua interminabile lotta con i padroni degli orti della Scariona, ai confini con Cusago: lotta iniziata nel remoto 1991, sindaco Paolo Pillitteri. L'ordine di demolizione emanato allora, che disponeva di radere al suolo tutti i manufatti sorti sugli orti, ora potrà venire eseguito: a meno, ovviamente, di nuovi ricorsi.

È una vicenda che si perde nelle brume della burocrazia, quella raccontata nelle sentenze che il Tar deposita ieri: sentenze tutte più o meno uguali, che respingono in blocco tutti i ricorsi presentati dai padroni degli orti, e che travolgono manufatti di ogni genere. C'è chi sull'orto si è costruito una casa e ci abita, ma anche chi si è limitato a realizzare un piccolo capanno per riporvi gli attrezzi da giardiniere. Giù tutto.

Per capire come sia possibile che sia passato più di un quarto di secolo basta leggere una delle sentenze depositate ieri, quella che dà torto - come a tutti gli altri proprietari - anche alla signora Albina C. La signora aveva comprato insieme al marito il suo pezzetto di terra, nel cuore del Parco Sud, intorno al 1990, quando il vecchio padrone aveva deciso di spezzettarlo in tanti orti. Ognuno degli acquirenti recintò, come si usa, il suo fazzoletto, e realizzò un ricovero per gli attrezzi. Nel 1991 il Comune ordina a tutti di demolire; nel 1994 Albina e gli altri chiedono il condono, e il Comune ci mette addirittura dieci anni a dire di no, accusando gli ortisti di avere realizzato «una trasformazione permanente del territorio equivalente ad una lottizzazione abusiva del tutto incompatibile con l'uso agricolo del territorio».

La signora Albina e il marito impugnano immediatamente il diniego del Comune, sostenendo che loro (loro: perché altri ortisti si sono comportati più allegramente) hanno rispettato pienamente la destinazione agricola, che nell'orto altro non hanno fatto che coltivare cavoli e pomodori, e che la stessa legge istitutiva del Parco Sud prevedeva la possibilità di realizzare piccole costruzioni connesse all'attività. Se il Comune ci aveva messo dieci anni a dire di no, il Tar ce ne impiega ancora di più: il ricorso della Albina, datato dicembre 2004, viene esaminato nell'udienza del 31 gennaio scorso, ad oltre tredici anni dalla presentazione. E la signora si vede dare torto su tutta la linea. I giudici affermano che fin dall'inizio il «frazionamento dell'area era orientato allo stravolgimento della zona nel suo complesso», e che le colpe di chi sull'orto ha costruito la casa ricadono anche su chi si è limitato al capanno, perché «la finalità lottizzatoria va desunta dal complessivo comportamento tenuto da tutte le parti coinvolte». Giù tutto.

E pensare che la Albina voleva solo coltivarci i pomodori.

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