Cronaca locale

L'universo delle particelle ricomposto su «Extreme»

Il Museo della Scienza e Tecnologia inaugura una sezione per spiegare l'infinitamente piccolo

Simone Finotti

Si chiamano particelle elementari, ma in realtà di elementare c'è ben poco. Anzi, più ci si addentra nell'infinitamente piccolo, più le cose si fanno complicate. Finché tutto diventa questione di «tracce»: è proprio seguendo queste labili scie di pura energia, a scale tanto ridotte da risultare solo ipotizzabili, che gli scienziati dell'ultimo secolo - da Bohr a Dirac, da Planck a Fermi, da Feynman a Marie Curie - hanno «inventato» la fisica delle particelle subatomiche, una delle più imponenti costruzioni teoriche di sempre, che negli ultimi anni (esemplare il caso del bosone di Higgs, rilevato nel 2012) sta trovando importanti conferme sperimentali.

Una «fortezza Bastiani» della ricerca che forse un giorno potrà assicurarci, come voleva Albert Einstein, che non siamo frutto di un banale tiro di dadi e dietro questi microcosmi di interazioni, collisioni, onde e legami aleggia il respiro di un'intelligenza pensante. Nell'attesa, proviamo a capire come si indagano i «mattoni fondamentali» dell'universo. E visto che è cosa tutt'altro che semplice, il Museo della Scienza e della Tecnologia ci dà una mano aprendo la nuova sezione permanente «Extreme. Alla ricerca delle particelle», realizzata con il Cern, Organizzazione europea per la ricerca nucleare e Infn, Istituto nazionale di fisica nucleare.

L'esposizione, che rappresenta il progetto più importante del museo nel 2016 e prende il nome dalle collisioni «estreme» delle particelle, racconta la trama della materia nelle sue componenti infinitesimali. Obiettivo: svelare anche ai profani, attraverso gli «arnesi del mestiere», ciò che accade dietro le quinte dei laboratori dei due grandi istituti di ricerca nati nel secondo dopoguerra. Un lavoro a cui si dedicano migliaia di scienziati di tutto il mondo, grazie a strutture e macchinari sofisticatissimi. Apparecchi affascinanti, alcuni dei quali entrati nella leggenda, come il mitico acceleratore Lhc (Large hadron collider), che coi suoi 27 km di diametro sotto Ginevra è il più grande e potente mai realizzato, impiegato al Cern per far scontrare fasci di adroni a velocità prossime alla luce.

In mostra preziosi oggetti storici, insieme a installazioni multimediali e interattive, riproduzioni, documenti, tavole esplicative e strumenti: segmenti di calorimetri elettromagnetici, fotomoltiplicatori, elementi di tracciatori, rivelatori di vertice, tegole scintillanti, fibre, pannelli di rivestimento.

Molte le parti di acceleratori e rivelatori: tra i pezzi di grandi dimensioni spiccano il generatore di alta tensione Cockroft-Walton, risalente agli anni '50, il sistema ad alta frequenza con cavità risonante di rame dell'acceleratore Lep (anni '90) e una riproduzione di segmento dell'Lhc, recente donazione Cern.

L'impostazione è didattica ed è alto il tasso di interattività: istruttivi e divertenti lo specchio extradimensionale, che scompone la nostra immagine in fasci di energia, il simulatore di materia oscura e il juke box delle particelle, che ne associa ciascuna a un brano cult degli anni in cui fu scoperta: da No woman no cry a Hotel California, dai Beatles a Michael Jackson ai Queen.

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