Cronaca locale

Mafia, manette più difficili Boccassini convoca il pool

Non sarà più facile come oggi mettere in carcere preventivo chiunque sia accusato di commettere reati per aiutare la mafia. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, capo del pool antimafia di Milano, ha convocato una riunione urgente del pool per giovedì prossimo alle 17, per affrontare lo scenario nuovo, e per alcuni aspetti allarmante, che una sentenza della Corte Costituzionale ha aperto nelle indagini contro la criminalità organizzata. Di fatto, la sentenza garantista della Consulta disattiva uno strumento cui la Procura milanese aveva fatto ampio ricorso in questi anni, facendo scattare le manette - anche senza dimostrare esigenze concrete e specifiche - per numerosi soggetti accusati di avere agito per conto dei clan. E la riunione del pool di giovedì prossimo servirà proprio a elaborare le strategie della Procura per evitare che le armi investigative impiegate finora ne escano troppo spuntate.
La sentenza della Corte Costituzionale del 29 marzo ha cancellato dal nostro codice penale un comma che vi era stato inserito nel 2009, nell'ambito del pacchetto-sicurezza Alfano-Maroni. Si tratta di un comma decisamente severo: per chi sia accusato di avere commesso un qualunque tipo di reato avvalendosi dei metodi mafiosi o per favorire organizzazioni mafiose, l'unica misura possibile è il carcere preventivo.
Con questo provvedimento il Parlamento aveva puntato a colpire la «zona grigia» a ridosso del grande crimine organizzato, quel mondo di fiancheggiatori e di complici accusati di reati - come l'usura, la corruzione, il riciclaggio - spesso funzionali al buon andamento degli affari delle cosche. Per tutti gli accusati di questi reati, non era necessario motivare con elementi concreti la richiesta di custodia cautelare in carcere.
Ora però la Corte Costituzionale è intervenuta, dichiarando che quella norma viola ben tre articoli della carta fondamentale del nostro ordinamento, e ricordando che tra i principi che ispirano la giustizia penale ci deve essere quello del «minore sacrificio necessario». La libertà personale, ricorda la Corte, è un bene talmente sacro che può essere limitata, specie durante le indagini preliminari, solo quando è assolutamente indispensabile. E mandare in galera automaticamente chiunque sia sospettato di aiutare i clan è irragionevole, perché lo si tratta come se fosse un mafioso vero e proprio: «la posizione dell'autore dei delitti commessi avvalendosi del cosiddetto “metodo mafioso” o al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, delle quali egli non faccia parte» non è equiparabile al mafioso cento per cento. E quindi se vorrà spedirli in galera la Procura dovrà, volta per volta, e caso per caso, dimostrare perché a mettere l'indagato in grado di non nuocere in attesa del processo non siano sufficienti altre misure meno gravi, come per esempio gli arresti domiciliari.

E già alcuni arrestati delle ultime retate potrebbero tornare liberi.

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