Cronaca locale

«Al Magna Pars la mia scatola che parla di etica ed estetica»

Il designer ha inaugurato in via Tortona «DBOX» un contenitore di brand sulla nuova cultura del vivere

Mimmo di Marzio

«Il progetto in cui più mi identifico? Le mie due figlie, che ho chiamato Verde e Celeste, per dimostrare che Novembre non è necessariamente grigio - infatti in Argentina cade in primavera - e che ogni cosa, nella vita, dipende dal nostro sguardo e punto di vista». Fabio Novembre, l'anima più eclettica e visionaria del design italiano, è un continuo ping pong tra un hardware filosofico e un software giocherellone. Al Fuorisalone di quest'anno il suo tocco non poteva mancare e infatti eccolo nel cuore di zona Tortona, negli spazi del Magna Pars, in veste di direttore artistico per «DBOX»: acronimo che dà il titolo ad un contenitore di idee innovative nato dall'agenzia My Events di Gianluca Mobilia. Nel caleidoscopico labirinto disegnato da re Fabio, si intersecano mondi e galassie apparentemente distanti anni luce: dagli eleganti rivestimenti in acciaio ultraleggero di Nichelcrom ai salotti da spiaggia di Sammontana, dal design tecnologico di Lamborghini alle nuove frontiere di Telepass.

DBOX che cos'è, un'immersione nel futuro oppure una delle torri di Babele di questa settimana del design?

«Non ho voluto scegliere un tema perchè mi sarebbe sembrato limitante; ma tra questi stand esiste un fil rouge che è quello della qualità e della sostenibilità. Il risultato è divertente ma di grandissimi contenuti; se quando cucini hai ottimi ingredienti (ride) è difficile sbagliare la ricetta».

In mostra si vedono materiali d'eccellenza ma anche progetti tecnologici che rispondono alle nuove esigenze della mobilità. Nel design conta più l'efficacia o la bellezza?

«Contano entrambe ma la bellezza è imprescindibile, la bellezza trasforma e guarisce. Non ci dimentichiamo che, nella nostra cultura umanista, etica ed estetica rappresentano due facce della stessa medaglia. Ma progettare senza etica vuol dire distruggere il pianeta, questo mi pare ormai un fatto assodato che fa parte del nostro quotidiano».

La plastica è anti-etica?

«Se dicessi di sì direi una bestemmia. La plastica è un materiale straordinario che solo un genio ingegneristico come il Nobel Giulio Natta poteva inventare: ha costi bassi, non esiste in natura ed è praticamente indistruttibile. Il problema siamo noi e il cattivo uso che ne facciamo; ai progettisti spetta il compito di inventare nuove forme di riuso».

Anche quest'anno il Fuorisalone porta a Milano centinaia di migliaia di persone. Il made in Italy è l'ultimo tesoro che ci resta?

«Un tesoro inimitabile, direi. I riflettori si accendono su Milano perchè a tutt'oggi nel mondo non esiste concorrenza con un evento come il Salone e il Fuorisalone, un palcoscenico che attira un pubblico numericamente di nicchia ma altamente qualificato; ed è questa la ragione le cui le multinazionali guardano a Milano e investono».

E la globalizzazione?

«Proprio qui sta il punto. La globalizzazione non scalfisce il nostro brand anche se la produzione e l'industrializzazione si globalizzano. Noi restiamo i maestri indiscussi nei brevetti, nell'alto artigianato e nella manodopera del lusso. La nostra manifattura è impareggiabile e va protetta, ma ciò che resta inimitabile è il modo rinascimentale e tutto italiano di pensare che ci permette, parafrasando Ernesto Nathan Rogers, di passare con leggerezza dal cucchiaio alla città».

Per la sua estetica onirica e antiminimalista qualcuno l'ha ribattezzata il «Fellini del design». Le avrà fatto piacere...

«Può dirlo forte; per me non esiste un genio pari a chi, nel cinema, ha avuto il coraggio di sovvertire tutte le categorie. Il mio grande cruccio è stato arrivare secondo al concorso per la realizzazione del museo di Fellini a Rimini...».

Oggi si parla di abbattere lo stadio di San Siro. Lei aveva progettato quello del Milan, ma non glielo hanno fatto fare...

«Peccato, era una bellissimo progetto multifunzionale, perfetto per le famiglie, nato anche dall'entusiasmo dell'allora AD Barbara Berlusconi.

Ecco, penso che per salvare il nostro calcio servirebbero più donne».

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