Cronaca locale

Mamma morta di parto per diagnosi sbagliata: due medici a giudizio

Per il gip se la donna non fosse stata dimessa si sarebbe salvata. Fu fatta sparire l'ecografia

Mamma morta di parto per diagnosi sbagliata: due medici a giudizio

Ormai è una storia che si ripete: davanti a un parto che si trasforma in tragedia, la Procura della Repubblica cerca di chiudere le indagini senza trovare colpevoli, ma va a sbattere contro l'opposizione delle vittime. E la linea «garantista» del pubblico ministero viene sconfessata dalle decisioni di altri giudici.

Era successo per due volte nei mesi scorsi, per la morte alla Mangiagalli di Claudia Bordoni e dei due bambini che aveva in grembo, e per il caso alla clinica San Giuseppe dove una mamma ha perso il nascituro. I medici dei due ospedali, che la Procura voleva prosciogliere, sono invece finiti a processo. Ed ora lo stesso accade per due medici della clinica Pio X, che dovranno rispondere di omicidio colposo per la morte di Katia Simeone, morta di parto a trent'anni il 17 ottobre del 2015.

Ieri il giudice preliminare Laura Anna Marchiondelli ha ordinato l'imputazione per i due professionisti: con un decreto che, accogliendo le tesi dell'avvocato Luigi La Marca, difensore di parte civile, evidenzia le gravi anomalie nella drammatica vicenda, culminate nella sparizione (accertata dalla squadra Reati Informatici della Procura) dell'ecografia realizzata alla Pio X poche ore prima della morte della donna. Nonostante fosse in corso la rottura dell'utero, per il cedimento della cicatrice di un parto cesareo, la Simeone venne dimessa. Tornò a casa, e meno di dieci ore dopo morì. Prima di lei, accertò l'autopsia, aveva smesso di vivere il suo feto di otto mesi.

Secondo il giudice non è affatto vero, come affermato dai medici della Pio X, che i dolori lancinanti della signora si fossero attenuati: «Dagli atti emergono elementi che consentono di reputare come Katia Simeone durante la degenza abbia continuato a lamentare allarmanti dolori addominali, mostrasse sudorazione e colorito cianotico (...) proprio tale complicanza gravidica è stata la causa della morte della donna e del bambino che portava in grembo, il che implica che vi sia stata una grave sottovalutazione dei sintomi da parte dei sanitari, che hanno errata la diagnosi, scambiando la sintomatologia per quella correlata alla difficoltà di evacuazione». La «pistola fumante» è proprio la maldestra sottrazione dell'ecografia dai computer della clinica: che «induce a ritenere che l'ecografia potesse rilevare elementi pregiudizievoli per coloro che l'avevano effettuata e mal interpretata. Gli unici soggetti che potevano avere interesse ad eliminare le tracce di tale esame erano gli indagati». Se invece di rimandarla a casa l'avessero trattenuta in clinica, oggi Katia Simeone sarebbe ancora viva, e così il suo bambino.

Conclude il giudice: «La mancata diagnosi della rottura dell'utero, già evidentemente in corso, nonché le improvvide dimissioni della paziente, impongono di ritenere gravemente imperita ed imprudente la condotta dei dottori».

Esattamente il contrario di quanto aveva cercato di sostenere la Procura.

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