Cronaca locale

Maria Mulas e Milano Scatti e ritratti della Città che sale

In 200 foto dell'artista la grande storia di una capitale culturale, dai '60 a oggi

Mimmo di Marzio

«La fotografia è il mio pensiero» scrisse una volta Maria Mulas spiegando sè stessa. E siccome il sè, come diceva Jung, è un ampliamento della coscienza e rappresenta il luogo da cui si attiva la creatività, la macchina fotografica è parte integrante della personalità di un'artista che ha vissuto tutta l'esistenza a contatto con la rappresentazione dell'immagine. Quell'immagine che è stata ricercata e quasi vivisezionata nell'environment familiare, apripista il fratello maggiore Ugo prematuramente scomparso ma rimasto alla storia come il più celebre ritrattista degli artisti del Novecento. A Maria, invece, appassionata di architetture ma anch'essa catturata dalla potenza dei volti, Palazzo Morando dedica una grande antologica che consta oltre duecento ritratti. La mostra, a cura di Maria Canella e Andrea Tomasetig, ha un titolo emblematico: «Obiettivo Milano», ovvero la grande città che la accolse e la avvolse quando dalle rive del Garda decise di trasferirvisi quando aveva appena vent'anni. L'obbiettivo, comune al suo Dna familiare, era ovviamente l'arte che agli albori degli anni Sessanta vedevano proprio Milano epicentro del fervore avanguardista europeo. In principio per lei fu la pittura, contagio dei bohemienn del Jamaica di Brera. Ma ben presto i venti di arte totale che spiravano dalla Francia e che nel 1960 celebrarono al Pac la rivoluzione del Nouveau Realisme, alimentarono la spinta documentaristica a raccontare l'anima di una città ricca di personaggi che avrebbero tracciato un solco indelebile in tutti i settori della creatività. E allora è affascinante il viaggio in cui la Mulas ci conduce immortalando con il suo obbiettivo l'anima di quei protagonisti, trasformando l'estetica del ritratto nell'introspezione di un modo di essere e relazionarsi. Il reportage diventa allora esso stesso il ritratto di una città che cambia, evolve e si internazionalizza attraverso la cultura. Dal teatro al design, dall'arte all'architettura fino alla moda: attraverso il suo obbiettivo passano il moto di sfida di Giorgio Strehler (bresciano come lei), il Fanciullino pascoliano del maestro Bruno Munari, il piglio progettuale di Achille Castiglioni, la scanzonata vanità di Krizia.

Dalle sette sezioni della mostra emerge ancora una volta il carattere di una città che ha sempre, malgrado tutto, guardato oltre.

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