Cronaca locale

La martire della fede partita da Milano con Topolino in tasca

Suor Leonella, uccisa da islamisti in Somalia insieme alla guardia del corpo musulmana

La martire della fede partita da Milano  con Topolino in tasca

Sulle piste con le amiche, in bici o in vespa a portare la frutta dal negozio del fratello ai clienti, ma anche a chi non aveva i soldi per diventarlo. Erano gli anni della giovinezza e suor Leonella, missionaria della Consolata, si chiamava ancora Rosa. Nata il 9 dicembre 1940 a Rezzanello di Gazzola, nel Piacentino, a dieci anni, alla morte del papà, si era trasferita a Sesto san Giovanni. «Era una persona, allegra, felice della vita, che attirava tutti a sé. Andava a sciare, si divertiva, era sempre in movimento» racconta la postulatrice della causa di beatificazione, suor Renata Conti.

Sembra di vedere una voragine tra questa vita piena e la domenica 17 settembre 2006 a Mogadiscio, in Somalia, quando è stata assassinata da due fondamentalisti islamici. Invece sarà beata. Un decreto di papa Francesco di martedì 8 novembre scorso ha riconosciuto ufficialmente il martirio in odium fidei della serva di Dio suor Leonella Sgorbati.

Beata perché martire della fede. Al suo fianco, è morta anche la sua guardia del corpo, Mohamed Mahamud, musulmano. «Lei lo chiamava «il mio angelo custode», papà di quattro figli, lavoratore. Correva per proteggerla, contro l'uomo che le aveva sparato. Ma da dietro una macchina è arrivato un altro uomo e l'ha ucciso».

Suor Miriam, che ha diviso con lei gli anni milanesi, ricorda che «aveva sempre in tasca Topolino e ha sempre vissuto intensamente», anche prima di diventare missionaria dell'Immacolata di Torino, nel 1963. Ha studiato da infermiera a Londra, poi è andata in Kenya. In Somalia aveva fatto nascere una scuola per infermieri. «I ragazzi la adoravano e gli estremisti avevano paura che lei li convertisse al Cristianesimo - racconta suor Renata -. Aveva voluto che ricevessero la toga al momento del diploma e dicevano di lei: già li ha fatti padri religiosi, già li ha convertiti. Attirava le persone ed era ritenuta una presenza minacciosa».

Leonella continuava a scrivere sul diario: «La missione Somalia è ciò che mi chiedi ora. Ti dono la mia vita in tutto e per tutto come Tu desideri... Mi chiami ad amare Te, ad amare le sorelle, ad amare la gente, i fratelli dell'Islam». Non era in pace se non aiutava gli altri, racconta suor Renata: «Ricordo una donna musulmana gravissima. Lei era pronta ma la donna rispose: non voglio che nelle mie vene scorra sangue cristiano. Allora Leonella ha trovato un ragazzo musulmano e l'ha convinto alla trasfusione».

Pallottole non troppo inattese. Ancora suor Renata: «Una domenica a mezzogiorno, lei era appena uscita dalla scuola e un fondamentalista è arrivato alla distanza di un metro e gli ha sparato sette colpi. Poi è arrivato l'altro. Lei è caduta e alla gente che era lì diceva: non fategli del male, sono poveri ragazzi, strumentalizzati. È rimasta in vita circa un'ora, i suoi studenti le hanno dato tanto sangue ma non c'è stato niente da fare. Prima di morire ha detto: perdono, perdono, perdono. Al suo funerale tantissimi piangevano come bambini».

Il filo che la lega alla Chiesa ambrosiana sono le radici che srotola suor Cristina, tra «l'impegno comune nell'Azione cattolica, le visite ai malati tutti i mercoledì sera», l'oratorio della parrocchia di san Giuseppe a Sesto San Giovanni, gli studi dalle suore del Preziosissimo sangue di Monza. «Ha amato Milano anche se diceva: mamma, questa città mi soffoca, perché le piaceva la vita all'aria aperta e quando è arrivata in Kenya ha gioito».

Fino alla fine, molto lascia pensare.

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