Cronaca locale

Milano anni '60 stile Fiorucci dalle pantofole alla

minigonna All'Unicredit Pavilion alle 21.15 il documentario sullo stilista che ha rivoluzionato la moda giovanile

Stefano Giani

«Alle 6 da Fiorucci». Era un appuntamento. Quasi fisso. Le telefonate dei ragazzi anni Settanta spesso si concludevano così. Poi, per la maggior parte delle volte non si comprava. Nulla. Si guardava. Costume italiano per squattrinati. Eppure frugare era un piacere. Gioia di plastica. Sogni di stoffa jeans. Il futuro di Ben, il giovane Dustin Hoffman del Laureato, era intriso di quel materiale con cui Elio Fiorucci confezionava infradito con una margherita, in parure con orecchini della stessa tinta e materiali. E lì in galleria Passarella, a due passi da San Babila, ci si trovava tutti.

Era il '67, l'anno dei Beatles e dei Rolling Stones. Di Mrs Robinson e Simon and Garfunkel. Del Mantova in serie A. E di un giovane stilista che, a 32 anni, aveva lasciato il negozio di pantofole di papà per prendere a schiaffi la borghesia tradizionalista che quelle ciabatte le amava eccome. Lui le mandò in soffitta e non si voltò più indietro. A servire in negozio aveva messo ragazze in minigonna che facevano girare la testa a maschietti perbene. Troppo perbene. Poi passò al bikini e al perizoma. E fu un pioniere. O forse. Il. Pioniere.

Perché Elio Fiorucci - con Trussardi e Missoni - erano l'avanguardia eterosessuale nel mondo patinato della moda. E il corpo femminile, quel giovane Elio dai capelli rigorosamente anni Settanta, lo guardava e valorizzava. Come quei jeans che fasciavano le natiche e sospendevano i glutei. Ragazze passeggiavano. Sculettavano. Gli occhi giravano. Felicità dissimulata per gli uni e le altre. Milano aveva importato lo stile di una generazione che stava per urlare la propria contestazione. Fiorucci fece a pezzi le regole con il garbo e l'eleganza di qualcosa che prima non c'era. Qualcosa che tutti sembravano aver atteso per secoli. E ora dicevano. Finalmente.

Era l'epoca della Bardot e Serge Gainsbourg. Bob Dylan, lui, già nel '64, aveva intuito che The times they are a changin'. Anche sotto la Madônina, dove Fiorucci aveva trasportato il clima di Piccadilly circus e Carnaby street. E lo stesso avrebbe fatto negli anni Ottanta a New York, regalando quel sogno di plastica a Andy Warhol che ne andava matto. Lo stile italiano e la laboriosità milanese arrivarono nella Grande Mela dove una Madonna sconosciuta - che sprizzava voglia di trasgressione e lasciava circolare sangue italiano nelle vene - si aggirava come una bambolina qualunque. Di quelle però che non vedevano l'ora di farsi notare.

Questa milanesità della contestazione che iniziò dalla moda e dalle mode a cambiare il costume della città rivivrà stasera. Alle 21.15, all'Unicredit Pavilion, a ingresso libero, nell'ambito del festival «Visioni dal mondo - Immagini della realtà», verrà proiettato il documentario Italiani - Elio Fiorucci, uno dei figli più celebri di una metropoli che ha lasciato in una calda sera di luglio di due anni fa. Quando Expo avrebbe impresso a Milano una svolta, gradita a Fiorucci che non era più nemmeno Fiorucci. Aveva ceduto il marchio e ne aveva creato un altro. Love therapy. «Sono un ottimista - diceva -. L'amore guarirà il mondo».

E aveva iniziato diventando vegetariano.

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