Cronaca locale

Milano Prima, ma balla da sola

(...) e piuttosto remota dell'impero, costretta ad entrare furtiva e da un ingresso posteriore per evitare la contestazione e soprattutto le domande scomode. Magari sui pasticci di papà e congreghe renziane nei bilanci in rosso di Banca Etruria. Peccato perché il suo abito era veramente degno di nota. E così, a proposito di potere che detesta la cultura, è meglio occuparsi dello spettacolo e di quello spiccio «Quel Gérard l'ha rovinato il leggere» con cui viene liquidato il moto d'orgoglio del servitore che si ribella alla gavotta ancien régime ballata dagli ospiti del castello di Coigny mentre fuori monta la rabbia e sale il grido di dolore di chi può dire «siam genti grame che di fame muor». E allora «è vile il pane che qui mi sfama» si ribella Gérad all'inizio di quel cammino che lo porterà a percorrere la parabola di una rivoluzione che comincia come spesso succede con una atto d'amore per il popolo e tramonta nel sangue del Terrore giacobino che tutto travolge. La grande storia dell'umanità che si avvita come una spirale e in un eterno ritorno dell'identico tutto si riappalesa intrecciando la piccola storia d'amore dei protagonisti. Una spirale evocata da quel carillon tragico a cui é ispirata la macchina scenica del regista Mario Martone. Prova superata (ma di dubbi non ce n'erano) dalla divina Anna Netrebko e soprattutto dal marito Yusif Eyvazov. Da bocciare gli eccessi di troppe sciure tra abiti fiorati e smisurati, cadenti botox esibiti, braccia usate come lavagne su cui scrivere messaggi e facce più da museo che da liceo. Troppo volgari e imperdonabili per un inno tragico all'amore che si chiude di fronte a una ghigliottina con un «viva la morte insiem».

Giannino della Frattina

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