Cronaca locale

Milano devastata dai No Expo Il Comune non chiede i danni

Parte il processo ai black bloc che hanno messo a ferro e a fuoco la città Palazzo Marino non è tra le parti civili: «Non sapevamo che fosse oggi»

Cristina Bassi

«Delinquenti e idioti». Il Comune «si costituirà parte civile» contro i responsabili delle devastazioni. Così un indignato Giuliano Pisapia poche ore dopo i fatti del primo maggio 2015. I No Expo avevano messo a ferro e fuoco la città e il sindaco raccoglieva lo sdegno ci tutti i milanesi.

I milanesi però ieri non erano rappresentati. Davanti al gup Roberta Nunnari è partito il processo con rito abbreviato a quattro antagonisti (un quinto è latitante) accusati di devastazione, incendio e saccheggio e resistenza a pubblico ufficiale. E al settimo piano del Tribunale tutti hanno notato l'ingombrante assenza di Palazzo Marino. Un regalo a una fetta di elettorato di estrema sinistra cui è meglio non dare fastidio? No, una semplice distrazione, stando a quello che spiegano dal Comune. «Non sapevamo del processo - si giustificano -, la Procura non ha avvertito la nostra Avvocatura. Valuteremo se presentarci alla prossima udienza».

A Roma invece la data se l'erano segnata sul calendario. Il Viminale infatti ha fatto richiesta di costituzione di parte civile, con motivazioni che faranno discutere. Nell'istanza presentata ieri il ministero dell'Interno afferma che le forze dell'ordine hanno permesso agli antagonisti di mettere in atto la guerriglia, per evitare che ci scappasse il morto. Una strategia già ipotizzata da più parti in quelle ore, ma che adesso è messa nero su bianco. «Alla luce di episodi analoghi precedenti e/o successivi - scrive l'avvocato del ministero, Alberto Giua - se i manifestanti hanno potuto, in qualche misura, scatenarsi, ciò è stato consentito dalle forze dell'ordine al fine di salvaguardare l'incolumità degli stessi imputati». Poi però il ministero chiede 300mila euro di risarcimento dei danni all'immagine, vista «l'ampia risonanza mediatica» avuta dalle devastazioni. C'è stata, si legge nel documento, una «obiettiva perdita di prestigio, anche a livello internazionale, cagionata al ministero e una compromissione della credibilità, correttezza ed affidabilità dell'azione amministrativa davanti ai cittadini». Interviene l'ex vicesindaco Riccardo De Corato (Fdi): «È un brutto segnale. Così lo Stato alza bandiera bianca di fronte a quattro teppisti». Il Viminale vuole inoltre la restituzione, in caso di condanna degli imputati, degli stipendi degli agenti impegnati nelle indagini che hanno portato agli arresti del 12 novembre. Oltre 7.700 euro «a titolo di ore di lavoro straordinario prestate per attività investigativa». Il gup ha ammesso il Viminale come parte civile solo in relazione al reato di resistenza. Per quello di devastazione è stata ammessa Unicredit, che per la distruzione di due filiali ha chiesto 870mila euro. Non è stata accolta invece l'istanza dei difensori Eugenio Losco, Mauro Straini e Niccolò Vecchioni che invocavano un'integrazione alle prove: una consulenza sui filmati di quella giornata. La prossima udienza, con la requisitoria del pm Piero Basilone, è fissata per il 5 maggio. Mentre la sentenza - ci sarà uno sconto di pena di un terzo previsto dall'abbreviato - arriverà il 6 giugno. Ieri sono state rese note infine le motivazioni dei giudici greci che non hanno concesso l'estradizione in Italia di altri cinque antagonisti fermati per la manifestazione. La corte d'Appello di Atene fa le pulci agli inquirenti milanesi: prima di tutto «la responsabilità collettiva non è riconosciuta nel diritto penale greco». Neppure il reato di devastazione e saccheggio. Per i fatti contestati, in Grecia «non è previsto l'arresto prima del processo».

Uno dei fermati poi «senza che gli venisse mossa alcuna accusa, è stato trattato da indagato senza che però gli venissero riconosciuti i diritti minimi».

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