Cronaca locale

Morto dopo il trapianto di cuore: no ad altra perizia. Verso chiusura caso

I medici non avrebbero colpe. Pm pronto a chiedere l'archiviazione

Morto dopo il trapianto di cuore: no ad altra perizia. Verso chiusura caso

Si avvia verso l'archiviazione la complicata inchiesta sul caso del paziente morto pochi giorni dopo un trapianto di cuore nel settembre del 2016. Il gip Anna Calabi ha infatti respinto la richiesta del pm Francesco De Tommasi di effettuare una nuova perizia, nella forma dell'incidente probatorio, per dissipare i dubbi che persistono dopo mesi di indagini. Il cuore era stato prelevato all'ospedale San Raffaele di Milano da un paziente 47enne originario di San Salvador e trapiantato su un 61enne gravemente cardiopatico al San Camillo di Roma.

Il fascicolo era passato alla Procura milanese che aveva iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo due medici del San Raffaele e tre del San Camillo. Il pm aveva disposto una consulenza, i cui risultati sono stati depositati a metà marzo. Gli esperti Cristina Basso, Ugolino Livi, Massimo Montisci e Francesco Tona concludevano in sostanza che l'organo donato dal salvadoregno collassato in piscina era «idoneo» al trapianto. Che il «rischio di esito sfavorevole» dell'intervento era «standard e le anomalie riscontrate nel cuore del donatore potevano al più allertare gli operatori per un monitoraggio stretto post trapianto, ma niente avrebbero potuto fare con l'insufficienza d'organo appalesatasi immediatamente dopo il trapianto». I medici dunque non sarebbero responsabili dell'esito fatale.

Dopo il deposito delle controdeduzioni degli esperti nominati dall'avvocato Loredana Vivolo, che assiste la famiglia della vittima, il pm aveva chiesto ai propri consulenti alcuni approfondimenti su presunte «patologie pregresse» dell'organo e sul tempo di ischemia (il periodo in cui il cuore rimane «isolato» dall'apparato circolatorio) che sarebbe stato di 5 ore e 11 minuti, quando invece le linee guida consigliano di non superare le quattro. Da qui l'istanza per un'ulteriore perizia. Il gip l'ha respinta perché questo tipo di accertamenti in fase di indagine vengono disposti solo se farli durante il futuro processo richiederebbe una sospensione delle udienze di più di sessanta giorni. Non sarebbe questo il caso. A questo punto la Procura, in mancanza di nuove analisi e sulla base della sola consulenza di parte, sarebbe pronta a chiedere l'archiviazione.

Contro cui è probabile che la famiglia farà opposizione, ributtando la palla nel campo del gip.

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