Cronaca locale

Moschee, si riparte da zero. La rabbia dei musulmani

La vicesindaco Scavuzzo all'incontro con le comunità: "Difficoltà per pregare? È colpa della legge regionale"

Moschee, si riparte da zero. La rabbia dei musulmani

Strada lunga e in salita: per i nuovi luoghi di culto si riparte da zero. È tornato alla casella di partenza il gioco dell'ora imbastito sulla moschea e sui templi di numerose altre comunità religiose. Gli imam lo sanno e non fanno niente per nascondere la delusione all'incontro che il vicesindaco Anna Scavuzzo e l'assessore all'Urbanistica Pier Maran hanno convocato (ieri sera) alla Sormani per illustrare il nuovo percorso deciso dopo il cambio della guardia a Palazzo Marino. Hanno partecipato una trentina di sigle, la metà dei 60 iscritti al bando delle associazioni religiose destinatarie dell'invito. All'assemblea i rappresentanti del coordinamento delle associazioni islamiche, i dirigenti della moschea di via Padova, il leader di viale Jenner. Ma non solo: gli evangelici (110 comunità, 70 luoghi di preghiera a Milano), la Chiesa ortodossa rumena con 220 parrocchie in Italia, gli induisti con i loro 20mila fedeli fra Milano e Lombardia, i pentecostali, i buddisti, la comunità copta dei cristiani d'Egitto. Alcuni hanno già partecipato al vecchio bando su cui l'ex sindaco Giuliano Pisapia ha puntato, affidandosi all'assessore Pierfrancesco Majorino. Un piano arenato fra ricorsi e controricorsi e alla fine ritirato. Ora carta straccia con il Comune che deve scrivere il Piano delle attrezzature religiose e inserirlo nel Pgt. Per questo chiede «aiuto» alle comunità. E garantisce coloro che abbiano aree a disposizione: andranno «a colpo sicuro». La prima scadenza di questo nuovo percorso però è stata un flop: solo due istanze presentate e per questo termini riaperti fino al 2 novembre.

L'incontro serve a spiegare, incoraggiare. Interviene Abu Shwaima, imam della moschea di Segrate. E ricorda l'ipotesi di allargare la sede storica, ma c'è anche la possibilità di trovarne una in centro. «Da 30 anni vogliamo avere un luogo di culto a Milano - spiega - ci è sempre stato detto che non ci sono aree. Ora si è rovesciato il tavolo e si riparte da capo, ma chi ci garantisce che il Comune non ci lasci a zero con soldi, sogni e sforzi? Voi fate un'altra proposta - prosegue - noi siamo sempre senza il diritto di un luogo di culto. Ci date speranza e poi la fate morire. Ora dobbiamo individuare un terreno in tempi brevi dopo 30 anni. Siamo trattati in modo tale che non sappiamo come agire».

Per il vicesindaco Scavuzzo «se non facessimo questo percorso verremo meno al nostro ruolo. Siamo qui perché il piano possa essere aperto. Sappiamo della vostra frustrazione e dell'arrabbiatura. Comprendo. Ma la nostra responsabilità è proseguire, quel che accadrà poi non lo so, i percorsi non sono scritti una volta per tutte. La normativa regionale potrebbe essere di nuovo modificata. Tutto può succedere, il massimo dello sforzo ora è fare il possibile per non farci tagliare fuori». Il Comune indirizza gli strali contro la legge regionale, la cosiddetta anti-moschee che in effetti - al Pirellone lo rivendicano - rende più stretta la via per i nuovi luoghi di culto. Maran attacca a testa bassa e premette: «Faremo il piano perché Milano ovviamente si attiene alle leggi, ma questo non può impedirci di segnalare la matrice burocratico-sovietica alla radice della scelta della Regione».

Ma la legge anti-moschee che impone il Piano è in vigore da un anno e mezzo ed è il Comune che ha fatto finta di non vederla, generando aspettative e delusioni.

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