Cronaca locale

Il musicista matematico che "suona" coi numeri

"La nostra idea? È quella di utilizzare gli strumenti della matematica, della computazione e dell'informatica a fini musicali"

Il musicista matematico che "suona" coi numeri

Musica maestro, ma a suon di numeri! Già proprio così. E c'è chi lo fa per davvero, che trasforma formule misteriose in melodie che sembrano arrivate da altri mondi. Sono i compositori-matematici: usano le equazioni delle stelle per canzoni e opere; fanno «cantare» i frattali, i calcoli probabilistici, qualcuno - dice una leggenda di questo ambiente - si sarebbe divertito con le procedure Nasa. L'importante è fare musica, ci tengono a ribadire. Loro, una micro-comunità che in tutto il mondo - sotto il cappello dell'associazione «Society for Mathematics and Computation in Music» (sede in America nella Ohio State University, ndr) - conta non più di cinquanta Maestri tra autori, teorici e musicologi. Di questa «riserva dei suoni del nostro tempo» si trovano il presidente dell'ente Guerino Mazzola (che con la matematica dà forma al free jazz), il vice Moreno Andreatta e Dmitri Tymoczko autore del saggio «A Geometry of Music». Dulcis in fundo Giovanni Albini - uno dei pochissimi italiani - 37 anni, pavese ma domiciliato un po' ovunque (vive e insegna tra la sua città di origine, Udine e Tallinn in Estonia); è un «classico» cervello in fuga ma non troppo a dire il vero. Perché gira che ti rigira torna sempre a Pavia, nella sua Italia. E questa sera, alla Palazzina Liberty, dalle ore 21 nell'ambito di «Limiti e meraviglia» porta in scena un suo nuovo lavoro, una grande forma titolata «Op.63 per archi» che ha appena sfornato, cui seguirà la «Serenata in Mi Op. 22 per archi» di Dvorak, del 1875. Due epoche a confronto, il Duemila con le sue «visioni» e l'Ottocento boemo di un grande; il tutto affidato all'Ensemble Testori diretto dal giovane e promettente Diego Ceretta.

«Qual è la nostra idea? - fa eco al telefono Albini, «intercettato» su una delle sue esotiche rotte - È quella di utilizzare gli strumenti della matematica, della computazione e dell'informatica a fini musicali». In questo non ci sono barriere, anche perché i limiti a mano a mano si sono sempre più allargati, visto che la pratica musical-matematica ha origini lontane. Antiche. «La usava Pitagora», spiega il compositore. E poi su per la storia, fino all'inglese Purcell, per esempio, che nell'epoca Barocca «ha organizzato tutta la prima aria della sua opera Didone ed Enea - continua - su delle strutture frattali legate alla sequenza di Fibonacci». Un chiarimento per (noi) comuni mortali: i frattali, ovvero quella cosa geometrica dotata di omotetia interna; si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse. Ingrandendo una qualunque sua parte si ottiene una figura simile all'originale», sostengono i libri. Che sulla successione di Fibonacci più o meno fanno così: «In matematica si indica una successione di numeri interi positivi in cui ciascun numero a iniziare dal terzo è la somma dei due precedenti (...)». Insomma, roba da mal di testa, eppure funziona. Si pensi al caso Mozart, alle sue meraviglie: il genio di Salisburgo frequentava i frattali, che si trovano, per chi volesse approfondire, nella «Sinfonia in sol minore Kv 550». E ancora. «Ognuno la matematica nella composizione la usa a suo modo - specifica il musicista lombardo - I risultati sono i più differenti, ma è certo che scaturisce musica e non altro. Di fondo c'è l'aspirazione a qualcosa di bello, accarezziamo l'oggettivo e l'universale». Quanti nomi che hanno camminato su questi sentieri nel Novecento: in testa il greco-parigino Xenakis, a seguire il castigamatti rigorosissimo Boulez, infine il visionario cosmico tedesco Stockausen e il più recente Tom Johnson. Nomi di peso e bei paroloni, a questo punto però bisogna ascoltare per capire. Se si è a digiuno sull'argomento si può cominciare proprio stasera con la partitura firmata da Albini (occostato al capolavoro di Dvorak). La materia di cui questa musica è fatta, in primis.

«Nel mio lavoro scale diatoniche, triadi, elementari condotte delle parti - illustra Albini - le radici della musica Occidentale. Quel che mi interessa sono elementi sonori ossificati, ridotti ai loro tratti essenziali e astratti». Uno più uno non sempre fa: due.

Qualche volta è musica.

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