Cronaca locale

Negozianti in trincea: non siamo negli Anni '70

Ferrario, coordinamento vie dello Shopping: «Chiusure forzate? Ora c'è il libero mercato»

Marta Bravi

Tra i centocinquanta e i duecento negozi coinvolti, che salgono a cinquecento se si aggiunge il food. Sono gli esercizi commerciali delle principali vie dello shopping milanese, cui vanno aggiunte le 300 insegne del solo corso Buenos Aires che rischierebbero di venire penalizzati se dovesse passare la legge sulle chiusure obbligatorie la domenica e i festivi. «Una vera e propria catastrofe per il commercio milanese, che avrebbe ovviamente ripercussioni a catena su tutta la filiera: ovvero dai proprietari degli immobili che affittano i propri spazi, al personale, passando per la catena del trasporto. Per non parlare dei disagi per la grande distribuzione e per i clienti, molti dei quali non hanno la possibilità per esempio di fare la spesa in altri giorni della settimana e del turismo, brand Milano compreso.

«Sembra di essere tornati agli anni Settanta - sbotta Luigi Ferrario, presidente del coordinamento delle vie dello shopping - quando c'erano le chiusure forzate dei negozi per lo stop del petrolio. Non solo, qui si parla di libertà: io devo poter essere libero di tenere aperto o chiuso il mio negozio la domenica, queste sono le basi del libero mercato».

Diversi i temi che vengono messi sul piatto dai commercianti: intanto un tema di sostenibilità economica del provvedimento. «Se siamo costretti a tenere chiuso la domenica, vuol dire che l'affitto che paghiamo, su cui abbiamo improntato la nostra attività, diventa più alto. Secondo: se non possiamo lavorare, allora bisogna stornare dal computo delle tasse anche le 50 domeniche circa di chiusura obbligatoria». «Senza tenere conto del fatto che lo Stato perderebbe l'Iva sugli acquisti domenicali - aggiunge Gabriel Meghnagi, presidente della Rete associativa di vie di ConfCommercio -. E ormai la domenica, come volume di affari, vale quanto il sabato».

Inutile dire che il pensiero vola a chi pur facendo commercio, non può essere oggetto alla norma, ovvero tutte le compagnie che vendono prodotti on line e che versano le tasse all'estero.

Ma c'è anche un importante aspetto sociale della vita di una città che viene minacciato dal disegno di legge: la desertificazione, il degrado e l'abbandono delle vie dello shopping. «I negozi rappresentano un importante presidio sociale, danno sicurezza, ordine e pulizia delle strade a costo zero. Per non parlare di bar e ristoranti che rappresentano, soprattutto in periferia, un importante luogo di incontro e di socialità», conclude Ferraio.

«Ma cosa direbbe un turista straniero vedendo tutte le serrande abbassate la domenica?» si chiede Meghnagi-.

Milano perderebbe immediatamente appeal come città turistica, una fama che si è conquistata con successo negli ultimi anni, e che rischierebbe di polverizzare in un attimo con conseguenze a cascata su tutto il settore.

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