Cronaca locale

"Nel mio Festival solo concerti originali e un'ospite: la danza"

Il direttore artistico presenta la rassegna che apre il 3 settembre tra Milano e Torino

"Nel mio Festival solo concerti originali e un'ospite: la danza"

Il conto alla rovescia per il festival Mito 2018 (si parte il 3 settembre) quali sono le novità di quest'anno? La parola al direttore artistico, il compositore Nicola Campogrande.

«Mito ha un tema che cambia di anno in anno. E poiché ogni concerto viene preparato apposta, ogni volta tutto viene reinventato. Che si tratti della Royal Philharmonic Orchestra con Marin Alsop e Julia Fischer, protagonisti del nostro concerto di inaugurazione, di Martha Argerich con l'Orchestra Giovanile dello Stato di Bahia o del Kronos Quartet, tutti gli artisti coinvolti preparano, insieme a me, concerti originali, mai ascoltati. Come testimonia la quantità di prime esecuzioni assolute o italiane che sono in programma. L'essere sempre nuovi rappresenta l'identità stessa di un festival come Mito».

Dopo «padri e figli», «natura», avete messe in programma una contaminazione artistica, la «danza»...

«Ho sempre pensato che la matita dei compositori danzi sul foglio, mentre annota la musica. E che gli interpreti siano dei danzatori che restituiscono quel movimento. E d'altronde la danza ha sempre fatto parte dell'ispirazione, e del bagaglio tecnico di chi scrive musica. Le suites barocche sono danze. Lo sono i minuetti delle sinfonie di Mozart. Ma lo è anche il finale della Quarta sinfonia di Brahms con la quale chiudiamo il festival. Ripercorrere le relazioni tra la musica classica e la danza è dunque un modo curioso e molto vitale di riscoprire pagine note, e di fare conoscenza con nuove creazioni quest'anno il festival ospita i lavori di centoquaranta compositori viventi, sempre eseguiti insieme a musica del passato».

Per Milano, in particolare, vuole raccontare gli appuntamenti che non perderebbe mai? E a Torino che cosa si può vedere?

«Dal 2016, quando ho assunto la direzione artistica del festival, i concerti sono esattamente gli stessi a Milano e a Torino (con giusto un paio di eccezioni su un cartellone di 125 appuntamenti). In questo modo tutti possono godere della programmazione, e gli artisti vengono più volentieri a suonare, preparando, come dicevo, programmi ad hoc. Scegliere tra i concerti per me è difficilissimo, perché ogni appuntamento è stato preparato in modo certosino, e i musicisti sono tutti eccellenti. Se proprio devo, suggerirei però di non perdere Mito Open Singing, al Conservatorio, domenica 8, dove il pubblico riceve una partitura e canta insieme al coro guida. E poi il concerto di chiusura, mercoledì 18 al Dal Verme, quando, insieme all'Orchestra della Rai, Enrico Dindo eseguirà, in prima italiana Azul di Osvaldo Golijov, compositore argentino cinquantenne: è probabilmente un capolavoro».

Il colpo dei colpi che quest'anno siete riusciti a fare: un artista o un inedito, forse un'orchestra?

«Il festival è un organismo complesso, che funziona se tutte le cellule si muovono nel modo giusto. Certo artisti come Martha Argerich, Ilya Gringolts, Evelyn Glennie, Myung-Whun Chung, Julia Fischer o Elisso Virsaladze non si trovano facilmente tutti insieme in un cartellone solo. Ma, per fare pochi esempi, chi sceglierà di ascoltare il duo Xavier Demaistre-Lucero Tena, arpa e nacchere, o il recital pianistico di Zee Zee o i ragazzi del Quartetto Guadagnini sarà ugualmente soddisfatto».

Periodo di vacche grasse tra l'altro: il Fus vi ha premiato. Un finanziamento che riequilibria le cose un po'...

«Siamo molto contenti di questo riconoscimento a livello nazionale, certo. Non parlerei però di vacche grasse. Quelle, i musicisti della mia generazione non le hanno mai conosciute. Quando abbiamo cominciato a lavorare, e ad assumerci qualche responsabilità, i soldi erano già molti meno di quelli che circolavano prima. E, come è noto, i bilanci diminuiscono di anno in anno. Ma a me non piace lamentarmi, e credo anzi che la necessità aguzzi l'ingegno. Faremo dunque del nostro meglio per sfruttare le risorse del Fus, così da ripartire con ulteriore slancio per le prossime annate».

Parliamo di lei Campogrande, come compila ogni anno il programma; un lavoraccio

«Il lavoro è lungo e faticoso, ma bellissimo. Si dialoga con decine di musicisti, si ascoltano ore e ore di musiche nuove, si inventa, scrivendo e cancellando, esattamente come faccio nella mia consueta attività di compositore. Perché poi, in fondo, il cartellone di un festival come Mito è una sorta di gigantesca partitura, dove ogni tassello ha la propria funzione ed è in relazione con il resto. La scelta del tema, che faccio io, è dunque molto importante, e delicata: deve essere stimolante, non scontato, ma deve anche permettere di costruire una programmazione articolata. Così come accade con il primo tema di una sinfonia...».

Se è cambiato, come ha visto cambiare il pubblico in questi anni? Ha delle cifre?

«Nei due anni che ho seguito finora, ho visto il pubblico milanese aumentare. Nel 2017, tra le due città, siamo arrivati a un riempimento medio delle sale dell'86%, con ben 76 concerti sold out. Un risultato del quale vado molto fiero».

L'augurio di quest'anno, che cosa si aspetta dalla manifestazione?

«Mito ha una doppia vocazione. Da un lato offre agli habitué della musica classica programmi nuovi, freschi, che rinnovano il piacere dell'ascolto. E dall'altro invita la cittadinanza che di solito non frequenta le sale da concerto a godere, a un prezzo politico, di artisti di fama mondiale e di musiche scelte con cura.

Se anche quest'anno le sale saranno piene e il pubblico tornerà a casa felice, come è successo nelle ultime due edizioni, potrò ritenermi soddisfatto».

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