Cronaca locale

Nel mondo di Basquiat l'eroismo da strada di un artista maledetto

Una nuova biografia del geniale graffitista a cui il Mudec dedica un'ampia retrospettiva

Francesca Amè

Basquiat sta conquistando Milano. E tanti sono tanti gli aspetti che colpiscono il visitatore che si aggira per le sale del Mudec Museo delle Culture di Milano di via Tortona dove, ancora fino al 26 febbraio e con un buon successo di pubblico, è allestita la mostra dedicata a quel «genio bambino», artista potente e disarmato insieme, che fu l'americano Jean-Michel Basquiat (1960-1988). La bellezza dell'esposizione, curata da Jeffrey Deitch, che fu amico dell'artista, e da Gianni Mercurio, sta nel suggerire, sala dopo sala, quanto questo poliedrico talento fu capace di mescolare lo spray con la pittura su tela, l'arte classica con i fumetti, la musica con i cartoon, l'anatomia con i graffiti. Innanzitutto, i numeri: sono 140 i lavori esposti, realizzati tra il 1980 e il 1987. E poi la varietà: sono opere di varie dimensioni, alcune imponenti, e disegni, foto e una collezione in piatti di ceramica sui quali, con guizzo ironico, Basquiat fece il suo compendio di storia dell'arte, regalandoci una caricatura per ogni artista famoso del passato.

Le prime due sale sono forse le più intense: troviamo gli autoritratti firmati da un Basquiat appena 17enne, «figlio della strada» (ma in realtà di una famiglia piccolo borghese). Il suo primo studio sono le vie di SoHo dove, con lo pseudonimo di Samo (Same Old Shit, tanto per essere chiari), creava graffiti che attiravano l'attenzione dei newyorchesi. Non avendo i dollari per comprarsi le tele, le sue pennellate nervose andavano sui pavimenti (o sulle porte, come in «Famous Negro Athlets») delle case di amici. L'esposizione, basata sui prestiti della collezione Yosef Mugrabi, procede in modo geografico e cronologico: ogni biennio presenta le opere realizzate nello studio frequentato in quegli anni dall'artista. Fu un italiano, il modenese Emilio Mazzoni, il primo a togliere Basquiat dalla strada e a regalargli l'orgoglio di una personale in galleria: accadde a Modena, nell' '81, e fu un successo. I suoi «graffiti su tela», con lo spray impastato nel colore, le figure ieratiche gli omini, gli animali, i personaggi con la corona diventano la «pastorale americana» di questo artista di colore che incuriosisce i collezionisti dell'epoca. Figlio inquieto del suo tempo, con amici quali Diego Cortez che gli spalancarono le braccia dei ricchi collezionisti e Andy Warhol, Basquiat in meno di un decennio entra nell'olimpo dell'arte americana. Vi resta poco: morirà a soli 28 anni per l'abuso di sostanze, la depressione, il complesso rapporto con gli acquirenti. Una vita in bilico tra essere e apparire, come spiega «Basquiat. La regalità, l'eroismo e la strada» di Michel Nuridsany, appassionante biografia pubblicata per Johan&Levi di cui discute, insieme a chi scrive, Luca Zuccala domani alle 18.30 (al Mudec, ingresso gratuito su prenotazione 039.9066293, info@johanandlevi.com).

Un omaggio al radiant child, a quel radioso ragazzo nero, con il rimpianto di quello che avrebbe potuto essere e non è stato.

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