Cronaca locale

No Expo, pm contro giudice: erano lì per devastare la città

Un'unica condanna per i reati più gravi al processo sui fatti del Primo maggio 2015. La Procura fa ricorso

No Expo, pm contro giudice: erano lì per devastare la città

Il bilancio dei risultati giudiziari sui fatti del Primo Maggio 2015 finora è magro. In estrema sintesi: una sola condanna per devastazione (un reato che prevede pene fino a 15 anni) su un totale di soli quattro imputati a processo dei circa 300 No Expo che hanno messo a ferro e fuoco la città. Non è detto che sia finita qui, la Procura sta ancora lavorando su informative e fascicoli. Intanto però è arrivato il verdetto con cui lo scorso 14 giugno il gup Roberta Nunnari ha inflitto pene fino a tre anni e otto mesi. La devastazione è stata riconosciuta per il solo Andrea Casieri, Edoardo Algardi e Niccolò Ripani sono stati condannati in primo grado per resistenza, mentre Alessio Dall'Acqua è stato assolto. Ma la Procura - le inchieste sono coordinate dall'aggiunto Maurizio Romanelli e dal pm Piero Basilone - non si arrende. E impugna la sentenza.

La devastazione, scrive in sostanza la giudice, c'è stata. Tuttavia i tre imputati su quattro assolti dal reato più grave (un quinto indagato è latitante) non avrebbero contribuito direttamente. Ci sono stati da parte loro - documentati e in alcuni casi anche ammessi - lanci di oggetti contro le forze dell'ordine, posizionamenti di cestini in mezzo alla strada e il procedere con il gruppo dei più violenti, questi ultimi armati di mazze e bastoni. C'è stato il travisamento con cappucci, sciarpe o maschere anti gas. Ma, spiega Nunnari, si tratta di fatti «isolati» che non permettono di provare la consapevolezza dei tre di aver partecipato e contribuito alla devastazione. Una tesi che evidentemente non convince l'accusa. Questo il senso dell'obiezione: una cosa è andare in manifestazione perché si è affezionati alla Festa del lavoratori o perché si ama la musica, altra cosa è andarci travisati e tirando pietre, anche dopo che è già successo il finimondo.

Il gup tocca il tasto dolente in più passaggi. «I fatti materiali accertati sono plurimi», ammette. Ma è «indubbio» che tali gesti «si siano consumati in un unitario contesto spazio temporale, in largo D'Ancona, in termini tali da potere essere ricondotti ad un unitario impulso volitivo». Quindi «non può riconoscersi la continuazione tra più azioni di resistenza poste in essere in esecuzione di disegno criminoso». Per quanto riguarda le pene, «la commisurazione deve tenere conto del contributo causale apportato dai singoli ai più ampi fatti illeciti accertati». E, ad esempio, «le condotte illecite di resistenza riconducibili agli imputati Algardi e Ripani sono state poste in essere nel contesto spazio temporale di largo D'Ancona e ivi si sono esaurite». Mancano prove certe per la «determinazione dell'elemento soggettivo». Infatti: «La presenza alla commissione di fatti illeciti in mancanza di elementi, quali la dichiarata adesione, siano utili a rafforzare il volere altrui, è da relegare alla mera connivenza». Ancora: «La collocazione degli imputati in largo D'Ancona all'avvio della carica contro le forze dell'ordine e la loro materiale partecipazione ad atti violenti è successiva alla realizzazione degli atti che contribuiscono a integrare la devastazione». In definitiva il reato di resistenza è «sganciato» da quello più ampio di devastazione.

E non c'è stata, per il gup, «la integrazione della condotta di devastazione a carico di tutti coloro che hanno posto in essere atti rilevanti».

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