Cronaca locale

Incidenti del 1° Maggio ora il giudice insiste: "Processare i poliziotti"

Accusati di falsa testimonianza contro un No Expo. Il pm aveva chiesto l'archiviazione

Incidenti del 1° Maggio ora il giudice insiste: "Processare i poliziotti"

Luca Fazzo

Poliziotti alla sbarra: dopo quasi quattro anni dall'iradiddio del Primo Maggio 2015, e quando i responsabili dell'assalto al centro di Milano l'hanno ormai fatta franca. Ma per quattro uomini della Questura spediti al fronte quel giorno contro i black bloc, ieri il giudice preliminare Raffaella Mascarino ha disposto l'imputazione coatta. Per due volte la Procura, indagando sul loro operato, aveva chiesto il proscioglimento. Il giudice ha prima ordinato nuove indagini, e adesso ordina di portare i quattro sul banco degli imputati.

L'accusa per tutti è di falsa testimonianza e nasce dal processo che un giovane militante antagonista, Mirko Leoni, dovette affrontare dopo essere stato fermato in via Mario Pagano. Dopo essersi disfatti in via Guido d'Arezzo dei passamontagna neri, gli ultrà che avevano devastato il centro della città e attaccato le forze di polizia si dispersero e si mischiarono al resto del corteo. Un poliziotto credette di riconoscere in Leoni il manifestante che poco prima aveva lanciato un pezzo di cemento contro un funzionario, il vicequestore Angelo De Simone, con tale precisione da scheggiargli il casco. Leoni venne fermato e portato in questura.

Al processo, il ragazzo venne assolto. Ma i giudici non si limitarono a dichiarare innocente l'imputato: accusarono di avere mentito in aula, sotto giuramento, i poliziotti venuti a testimoniare contro di lui. E fecero incriminare De Simone, e con lui altri tre agenti di polizia schierati in piazza quel giorno.

Che le accuse contro Leoni fossero fragili, lo ha riconosciuto la stessa Procura, che non ha mai impugnato l'assoluzione del giovane. Ma da qua a dire che i poliziotti avessero deliberatamente mentito, secondo il pm Marcello Musso ce ne correva assai: anche perché tutto avveniva nel caos totale, e i verbali venivano stesi a ridosso degli scontri o al termine di una giornata campale. Quindi secondo la Procura che ci fossero discrepanze tra un verbale e l'altro era figlio del caso e non di un complotto ai danni di Leoni: anche perché non si capirebbe il motivo per cui «la polizia di Stato avrebbe voluto calunniare proprio lui, e cioè un manifestante tra le centinaia di manifestanti».

A venire rinfacciato ai quattro poliziotti indagati non era tanto l'aver identificato Leoni come il lanciatore di pietre, quanto l'averlo accusato di avere opposto resistenza all'arresto, spalleggiato da alcuni compagni. Per fare luce su questo dettaglio, il giudice ha ordinato che fosse interrogato l'agente Roberto Mantovanelli, che prese in consegna il ragazzo in via Pagano. Mantovanelli ha spiegato che in effetti Leoni gli venne affidato dai colleghi, ma che sotto il nuovo attacco dei manifestanti lo perse di vista per un po'. E cosa fosse accaduto in quei momenti lui non lo sapeva.

Sembrava una conclusione neutra, che non incriminava nessuno. Per questo Musso aveva nuovamente chiesto l'archiviazione.

Per il giudice, al contrario, i nuovi verbali «descrivono un atteggiamento complessivo di Leone Mirko del tutto contrastante rispetto a quello descritto dagli indagati».

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