Cronaca locale

«Non un centesimo pubblico è stato dissipato»

Per Roberto Formigoni è l'ultima apparizione in veste di presidente della Regione Lombardia all'inaugurazione dell'anno giudiziario. E a guastargli il commiato dalle toghe arriva puntuale uno scoop del Corriere della Sera che rivela come la Procura della Repubblica lo abbia iscritto un'altra volta per corruzione nel registro degli indagati. Anche stavolta l'accusa riguarda la gestione della sanità convenzionata, che già aveva portato il Celeste sotto inchiesta per i presunti favori alla Fondazione Maugeri: e che adesso secondo il quotidiano di via Solferino (ma la non-smentita della Procura equivale a una conferma) ha portato a incriminare Formigoni anche per le decisioni a favore del San Raffaele di don Verzé.
Neanche il tempo di superare il picchetto militare che gli rende gli onori, e nella hall del palazzaccio il governatore viene circondato dai cronisti. Non si tira indietro. «Non un reato è stato commesso, non un centesimo di denaro pubblico è stato dissipato - attacca - se questa notizia è vera è stato commesso un reato perché è stata informata la stampa e non sono stato informato io». «Il processo per il San Raffaele è già stato fatto - ricorda Formigoni - e il presidente Formigoni non è stato minimamente coinvolto». Ma stavolta, obiettano i cronisti, si parla di una consulenza che la chiamerebbe in causa direttamente: «Se leggete l'articolo la cosa è chiara, questo famoso consulente non ha capito nulla e non è con l'ignoranza che si possono sollevare accuse». La sua esperienza da indagato, gli chiedono ancora, come ha cambiato il suo rapporto con la giustizia? «La giustizia deve essere giusta, e spesso lo è. A volte meno».
A Formigoni in sostanza la Procura contesta di avere goduto dei generosi favori del suo amico Piero Daccò, che li finanziava con i fondi neri sottratti dalle casse del San Raffaele: tra i sette e gli otto milioni di euro. É lo stesso schema seguito per accusare il governatore di corruzione nell'ambito della vicenda Maugeri. Come in quell'occasione, per configurare il reato la Procura doveva individuare quali fossero le contropartite offerte da Formigoni agli ospedali privati di cui Daccò curava gli interessi.
Secondo quanto anticipato dal Corriere, l'elemento decisivo per convincere la Procura a iscrivere nuovamente Formigoni tra gli indagati è stata la perizia di un consulente, Maurizio Bracchi, che dopo avere analizzato i provvedimenti della Regione stabilisce che non si capisce come si sia arrivati a emanarli («è impossibile ricostruire ex post il percorso logico di formazione della volontà dell'organo deliberante») e che questo «non può che minare alla base gli essenziali requisiti di trasparenza e imparzialità».
La notizia genera un botta e risposta tra Formigoni e Umberto Ambrosoli. Il candidato del centrosinistra parla di «groviglio di interessi privati che ha sottratto risorse ai cittadini lombardi».

Formigoni reagisce annunciando una querela per calunnia.

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