Cronaca locale

«Non poteva nutrirsi» Operazione salvavita a un bimbo moldavo

Al Policlinico: il piccolo, con una sonda legata allo stomaco, rischiava la morte

Sabrina Cottone

È nato diciotto mesi fa in Moldavia, Paese sereno e orgoglioso, ma non il luogo migliore in cui venire al mondo per un neonato colpito da una patologia rara. Già le parole della malattia bastano a fare paura: fistola tracheo- esofagea. Nome scientifico per dire una realtà semplice e dura: il piccolo non poteva deglutire e così né mangiare né bere. Nemmeno il latte, che finiva nei suoi polmoni e gli causava polmoniti frequenti. Le malformazioni dell'esofago e della trachea legavano la sua vita a un sondino collegato allo stomaco e ogni giorno poteva essere l'ultimo.

I genitori non si sono arresi, hanno cercato ovunque tra conoscenti, amici, su internet e su facebook, fino a scoprire il centro del Policlinico di Milano in cui opera Ernesto Leva, direttore di una Chirurgia pediatrica in grado di sostenere l'operazione salvavita. Non hanno gettato la spugna nemmeno davanti ai costi: quindicimila euro che per loro valgono infinitamente di più e che il sistema sanitario non copre come per noi comuni malati, perché i Moldavi non sono cittadini comunitari.

È qui che il dottor Leva si è rivolto a «Cieli azzurri», una delle onlus che lavora più a stretto contatto con il Policlinico e lo fa in vari modi: aiuta a comprare strumentazioni o ad agevolare bimbi provenienti da Paesi in via di sviluppo. L'intervento per questa patologia rara è costoso, ma arriva il volontariato e la generosità di una coppia di benefattori. Lucy e Tommaso Rocca, di una importante famiglia di industriali, amici da tempo del dottor Leva e di «Cieli azzurri», decidono di approfittare della festa per i quarant'anni di lui: invece dei soliti regali, chiedono di raccogliere contributi per aiutare il bimbo moldavo. Il dono consente di operare subito. In due settimane di fine aprile mamma e bambino arrivano a Milano, l'intervento avviene con successo, loro tornano subito a casa, dove li aspettano i fratellini e il papà. E il bimbo, che prima non poteva nemmeno bere, mangia già le pappine.

La sanità a volte riesce a raggiungere anche chi è senza speranza di salvezza? Il dottor Leva risponde di sì: «Gli ospedali arrivano fino a un certo punto. Le onlus e la generosità dei privati ci consentono di fare cose un po' speciali. Adesso siamo tutti molto contenti. Può immaginare la felicità della mamma». Ecco, si può soltanto provare a farsene un'idea, anche ascoltando il professore spiegare quali rischi correva il piccolo paziente: «Sarebbe stato costantemente in pericolo di vita per il rischio di infezione ai polmoni». Poi lui aggiunge, per filosofia medica più che per falsa modestia: «Non è merito mio ma della struttura del Policlinico e infatti la chirurgia necessaria per il bambino prevedeva un intervento molto complesso che in Moldavia non poteva essere eseguito proprio per questo». Non solo. Ernesto Leva, che ha lavorato anche in ospedali stranieri dedicati solo alla cura del bambino, si dice favorevole al modello del Policlinico milanese: «È bene poter avere specialisti dell'adulto e strumentazioni di tutti i tipi. Se non fosse così, non riuscirei a lavorare come lavoro».

Interventi come questo sono difficili anche perché rari: «Ne abbiamo fatti 15 in tutto l'anno».

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