Cronaca locale

Note dalle "Due Americhe" LaVerdi ritorna al Castello

Stasera emozionante viaggio: dalle atmosfere spagnole di Bizet alla New York anni Cinquanta di Bernstein

Note dalle "Due Americhe" LaVerdi ritorna al Castello

C'era una volta l'America. Anzi, Le due Americhe: musicalmente, s'intende. Il perché è tutto nella bacchetta di Enrico Fagone, giovane direttore-contrabbassista che domenica 18, per il secondo appuntamento estivo de La Verdi nella cornice del Castello Sforzesco, sale sul podio alle 21 con un viaggio che dalle atmosfere spagnole di Bizet scorrazza fino alla New York anni '50 di Bernstein. Il programma invita, anzitutto, a sostituire l'accezione puramente geografica di America con quella, più ampia, di continente dello spirito, dimora ideale dell'esotico e dell'inconsueto. Come fu la Spagna a cui si ispirò il francese Bizet nella celeberrima prima Suite dalla Carmen, pubblicata postuma nel 1882 sulla scia dell'omonimo romanzo di Prosper Mérimée. Siamo nella Francia del tardo Ottocento, ma l'ambientazione ci trascina a Siviglia, in piena Restaurazione. Non stupisce che il personaggio di Carmen, sensuale sigaraia che si presenta al canto di una habanera e sconvolge le convenzioni sociali dell'epoca, sia diventata il simbolo di una libertà desiderata, non senza imbarazzo, da molte donne di allora. Uno scandalo, per i tempi, reso ancor più tentatore dalla bellezza delle musiche, che affascinano anche l'ascoltatore e le orchestre di oggi. Melodie e ritmi trascinanti, timbri ricchi di calore, a dipingere un paesaggio sonoro perfettamente reso dall'orchestrazione di Ernest Giraud, grande amico dell'autore. Visioni iberiche sono anche quelle tratteggiate da Manuel de Falla. Protagonista insieme ad Albéniz, Granados e Mompou dell'emancipazione dell'impressionismo musicale spagnolo dal filone francese di Debussy, Dukas, Satie e seguaci, lo ascoltiamo nel balletto El sombrero de tres picos, che insieme a El amor brujo è forse la sua pagina più nota. Sono gli anni della fine della Grande Guerra, e alla base c'è di nuovo un racconto, di Pedro de Alarcón. Fu Sergej Diaghilev, impresario dei Balletti Russi, a suggerire a Falla di ricavarne un lavoro teatrale. Di lì a poco, ecco la «prima» londinese all'Alhambra Theatre, nell'estate 1919, sotto la direzione di Ernest Ansermet, con coreografia di Massine e scene di Picasso. Nella seconda parte del concerto si viaggia per davvero oltre l'Oceano per agguantare una fetta di Messico contemporaneo attraverso le note del compositore Arturo Márquez che rielabora un ballo cubano popolare anche nella regione di Veracruz. Ecco apparire le due Americhe degli atlanti geografici: quella latina, con le sue atmosfere malinconiche, e quella anglosassone, patria dei musical più amati. Il successo del Danzón n.2 di Márquez, composto una quindicina di anni fa, è legato all'astro di Gustavo Dudamel, che nel 2007 lo portò in tutto il mondo con la sua Orchestra Giovanile Simon Bolivar del Venezuela. Non poteva mancare Leonard Bernstein, la figura più iconica della classica nordamericana sia come direttore d'orchestra sia come compositore. È proprio quest'ultimo che conosceremo attraverso un medley di West Side Story, musical che deve molto a Romeo e Giulietta di Shakespeare. Nell'Upper West Side della Grande Mela -nel cuore dei ruggenti Fifties- la più classica rivalità fra bande giovanili, aggravata da un clima di forte intolleranza, si trasforma in un ostacolo per l'amore tra Tony, ex componente dei «bianchi» Jets, e Maria, sorella del capobanda dei portoricani Sharks.

Il resto è tutto da ascoltare.

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