Cronaca locale

Ogni anno 4mila violenze «Eva» aiuterà le donne anche se non denunciano

Tutti gli interventi della polizia in una banca dati Una lite diventa il precedente che fa scattare l'arresto

Cristina Bassi

C'erano le mimose e si è parlato di femminismo. Ma soprattutto si è parlato di violenza sulle donne: la sostanza dietro la (tanta) retorica dell'8 marzo. Ieri nella Sala Alessi di Palazzo Marino forze dell'ordine, magistrati ed esperti hanno tenuto a battesimo il «Protocollo Eva (Esame delle violenze agite)» per il contrasto alla violenza di genere. Ideato nel 2014 e sperimentato dall'Ufficio prevenzione generale della Questura di Milano, guidato da Maria Josè Falcicchia, ora diventa ufficialmente una procedura adottata a livello nazionale.

Un dato su tutti: nel 2016 a Milano gli interventi delle Volanti per liti domestiche sono stati 4mila (3mila nel 2015), più di dieci al giorno. In questo Milano ha fatto da apripista. Finiscono infatti nella banca dati di Eva anche i «reati satellite», le violenze «minori». Ogni volta che i poliziotti intervengono in una casa per ingiurie, minacce, lesioni, percosse, molestie, violenze psicologiche, lasciano una traccia. E non solo quando c'è la denuncia della vittima. Così il precedente segnalato, in caso di recidiva, servirà per far scattare l'arresto obbligatorio previsto dalla legge dal 2013. Anche in assenza della querela di parte. Viene anche compilato un questionario, una check list elaborata da Anna Costanza Baldry, docente all'Università della Campania, che serve per l'analisi scientifica del rischio. «Oggi Eva diventa protocollo nazionale della polizia - ha spiegato Falcicchia -. È nato anni fa all'Upg di Milano, dopo mesi di mattinali stracolmi di liti in famiglia, una vera guerra domestica. Quando la legge del 2013 (quella cosiddetta contro il femminicidio, ndr) ci ha dato gli strumenti dell'arresto in fragranza e dell'allontanamento in via d'urgenza dalla casa familiare abbiamo cercato il modo di applicarli efficacemente. Abbiamo maturato un nuovo approccio al fenomeno. Abbandonato il vecchio ruolo, mai risolutivo, di pacificatori che tradizionalmente assumevamo negli interventi in famiglia. Grazie soprattutto alla formazione e alle lezioni di Piero Forno, allora procuratore aggiunto coordinatore del pool Soggetti deboli. Gli operatori delle Volanti, al 90 per cento uomini, hanno acquisito consapevolezza e sensibilità nuove. Oggi sanno vedere oltre il non detto di una vittima che ha paura anche solo a parlare. Lo scopo è disinnescare la bomba, prima che esploda in un terribile fatto i cronaca. L'85 per cento delle vittime che abbiamo ascoltato a distanza di tempo ci ha detto che la situazione è migliorata dopo il nostro intervento». Il 20 gennaio il direttore centrale Anticrimine del Dipartimento di pubblica sicurezza Vittorio Rizzi ha esteso Eva a tutte le Questure. «Da allora - ha detto il direttore del Servizio controllo del territorio Maurizio Vallone - con la procedura unica abbiamo registrato a livello nazionale 280 interventi per maltrattamenti in famiglia. In 260 casi l'aggressore era uomo, i due terzi erano italiani». Alla presentazione hanno partecipato Barbara Stefanelli, vicedirettore vicario del Corriere della Sera, la professoressa Baldry, Rizzi, il pm subentrato a Forno, Cristiana Roveda, l'avvocato Anna Maria Bernardini de Pace, Lucia Annibali, consulente giuridico del Dipartimento pari opportunità, e Manuela Ulivi, presidente della Casa di accoglienza delle donne maltrattate. «La violenza sulle donne - sottolinea Roveda - resta un fenomeno per lo più sommerso. Le vittime spesso non si espongono. Nel 2016 comunque abbiamo ricevuto 1.808 denunce per maltrattamenti e atti persecutori e istruito 981 processi». Infine Baldry: «L'85 per cento delle vittime non chiama le forze dell'ordine. Anche per questo gli operatori che intervengono nell'immediato devono saper leggere i segnali, fare le domande giuste».

Frasi misogine, un tentato strangolamento, mobili rotti in casa sono chiari campanelli d'allarme.

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