Cronaca locale

«Ottanta nostalgia» In mostra i feticci degli anni ruggenti

Panini, videogames e il cubo di Rubik Ecco cosa è rimasto di un'epoca superpop

Simone Finotti

Cosa è rimasto di quegli anni Ottanta? Trent'anni dopo la profetica domanda di Raf (sembra ieri, era Sanremo 1989), qualche risposta ce l'abbiamo: nel bene e nel male, non sono passati inosservati. Anzi. Molto è restato di quel decennio «ruggente» e «pop», che per molti ha segnato l'apice e il tramonto dell'illusione di una crescita universale e inarrestabile. Innanzitutto tanta nostalgia, specie per chi era ragazzo allora. Che poi sono le mamme e i papà di oggi. Ma come? Proprio ora che il mondo è mille volte più veloce e facciamo cose che non avremmo osato sognare: siamo sempre connessi, abbiamo telefoni supersmart, ci sentiamo giovani anche coi capelli bianchi, inseguiamo lampi di fama su social e reality, dialoghiamo con tutti in «real time» e possiamo, che so, inviare un video o una foto all'altro capo del pianeta, prenotare una vacanza in 10 minuti, sapere prima se l'autostrada è bloccata dal traffico. Eppure, ci ricorda la «non-mostra» omaggio «Ottanta nostalgia», al Museo Wow dal 20 maggio al 1° ottobre, c'era una magia che oggi non c'è più. Riscopriremo oggetti iconici, film, canzoni, giornali, dischi, manifesti, modellini, fumetti, giochi in scatola, videogames e tutto quello che rende quegli anni indimenticabili e cult anche per i giovani d'oggi. Non ci credete? Guardate il polso degli adolescenti e vi vedrete copie fedeli dei mitici orologi digitali che completavano il look da perfetto «paninaro». E se non ci si poteva permettere Moncler o Timberland ultimo modello, si era felici semplicemente scervellandosi con il più economico cubo di Rubik davanti a «Bim Bum Bam», sperare di completare i menu del «Pranzo è servito» o di risolvere i leggendari rebus di «Bis», fantasticare battaglie di robot fra Goldrake e Mazinga o imprese di Lady Oscar, restare incantati davanti ai gol di Pablito Rossi o di... Oliver Hutton (sempre che non si imbattesse in Benji), gioire agli smash di Mimì e Mila, brindare alle nozze di Carlo e Diana, festeggiare l'uscita dello Spectrum o del C64, impazzire per Dallas e aspettare la domenica sera per «Drive In», sfogliare Dylan Dog ascoltando i Duran Duran con il walkman. Intendiamoci, non fu un'età dell'oro. Ebbe anche i suoi eccessi, come la spasmodica ricerca del successo e l'ostentazione del benessere; e le sue ombre, dagli spari contro Giovanni Paolo II alla nube avvelenata di Chernobyl, dalla strage di Ustica a quella di Bologna, dai conflitti in Medioriente alla «coda» della Guerra fredda.

Non era affar semplice infilare dieci anni di storie, nostalgie e ricordi in poche sale. La macchina del tempo, però, ha funzionato a dovere: che ci sia lo zampino di Martin Mystère, il biondo eroe bonelliano che fin dal 1982 viaggia intrepido fra i mondi e le epoche?

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