Cronaca locale

I ponti non hanno più l'età. E mancano soldi per rifarli

L'analisi delle infrastrutture in Lombardia rivela i punti critici

I ponti non hanno più l'età. E mancano soldi per rifarli

Uno su tre è messo male. E qualcuno pure peggio. Lo studio del Politecnico in collaborazione con Eupolis mette in luce la situazione traballante dei ponti del Po. Persino quando ci sono i fondi per metterli a posto non si riesce a risolvere la situazione: tra maltempo, crisi finanziare delle società appaltatrici e burocrazie dei mille campanili non se ne esce. C'è sempre un motivo per il quale i lavori sono in ritardo o da finanziare, o c'è uno studio da commissionare a qualcuno. Nel Paese dei «più grandi analisti del mondo» (copyright Pietro Salini) è molto difficile arrivare al dunque. Intanto si sprecano soldi, come spiega il Politecnico esponendo la «legge del cinque»: ogni euro speso male per progettazioni e manutenzioni sbagliate, costa altri cinque euro di interventi per mettere delle pezze.

Sotto quei ponti scorre da decenni il Po. A volte da più di un secolo. E si vede. Secondo uno studio del Politecnico già nel 2013 su 29 attraversamenti del fiume, 12 erano in cattive condizioni. Tre, di cui due costruiti tra il 1912 e il 1916, addirittura venivano descritti come «strutture con evidenti segni di fatiscenza o con problemi idraulici». Ma il gruppo più consistente di quelli che necessitano di una pesante opera di manutenzione, sono nella categoria C, sono gli otto edificati tra il 1961 e il 1976. Un'epoca in cui si utilizzavano le stesse tecnologie alla base del ponte Morandi di Genova, due su tutte: il calcestruzzo precompresso e le selle Gerber. Tecniche di cui in tempi più recenti si sono scoperti i limiti strutturali, compresi quelli dovuti all'aumento di «anidride carbonica nell'atmosfera» come ha precisato Pier Giorgio Malerba, docente del Politecnico chiamato dai magistrati a redarre la perizia sul crollo di Genova. Il calcestruzzo infatti diminuirebbe la sua durata anche a causa della corrosione da anidride carbonica. Nella categoria C ci sono i ponti Bressana-Bottarone (il più vecchio essendo del 1949), Ficarolo, Guastalla, Pieve Porto Morone, San Daniele, San Nazzaro, Sermide e Viadana. Per alcuni negli anni sono partiti dei lavori, ma spesso non sono sufficienti o impelagati nelle burocrazie di mille campanili. Purtroppo i problemi di questi e altri dei dodici ponti messi peggio sono ormai un classico per moltissimi casi di infrastrutture: ci sono studi e analisi che confermano la necessità di interventi tanto rapidi quanto complessi, ma mancano i soldi. O arrivano a rilento e solo quando ormai costerebbe quasi meno abbattere il ponte e ricostruirlo: è il caso dei due in fondo alla lista, il Cornale (o della Gerola) e quello delle Becca per i quali sono stati stanziati nel 2016 tra Regione e Stato oltre otto milioni di euro. Anche per il terzo inserito dall'università milanese nella categoria D, il ponte di San Benedetto, si sono trovati dei fondi, ma i lavori procedono lentamente e anche se gli accessi sono limitati da anni spesso le prescrizioni di sicurezza sono ignorate. I mezzi pesanti passano di straforo rendendo la riqualificazione del ponte sempre più lenta e difficoltosa.

Ci sono poi i casi di ponti in teoria mesi abbastanza bene, cioè in categoria B quella delle «strutture con elementi in via di ammaloramento» come il ponte di Spessa. Costruito nel 1973 e lungo quasi un chilometro avrebbe bisogno di 2 milioni e mezzo per essere sistemato, ma come ha dichiarato il presidente della provincia Vittoria Poma alla stampa locale sono «Soldi che non abbiamo». Stesso discorso per l'attraversamento di Pieve al Cairo: si dovrebbe intervenire, ma mancano i denari.

E così si alimenta un gioco degli sprechi: secondo la «legge del cinque» ricordata dalla relazione del Politecnico un euro speso «per maggiore accuratezza in fase di progettazione e costruzione è efficace quanto 5 euro in fase di pre-corrosione, 25 in fase di corrosione localizzata e 125 in fase di corrosione generalizzata». Quindi intervenire quando ormai il ponte è del tutto deteriorato o in pessime condizioni costa molto di più che non muoversi per tempo.

Un altro problema messo in risalto dalla ricerca dell'ateneo milanese è quello di «detour», cioè quello derivante dallo spostamento dei flussi di traffico seguiti a una chiusura anche parziale di un ponte: in sei mesi possono arrivare a superare il valore dell'opera stessa. Ci sono infatti gli aumenti di consumo di carburante, la gestione di spostamenti su strade non studiate per sopportare certi carichi che poi andranno risistemate, l'aumento dell'inquinamento e altri fattori che concorrono a rendere il «detour» un problema economico molto serio.

La buona notizia è che tutti quelli autostradali, quelli di A1, A7, A21 e A22, sono nella categoria A, ovvero la più alta, riservata alle «strutture in buono o discreto stato di conservazione».

Nella stessa classe ci sono anche cinque ponti ferroviari su sei, l'unico in categoria C è quello di Bressana-Bottarone.

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