Cronaca locale

Pisapia paga il conto all'Islam: ecco le due nuove moschee. Ma chi controlla quelle abusive?

Il Comune assegna le nuove aree per i luoghi di culto ma alle porte di Milano fioriscono le moschee abusive

Islamici in preghiera a Milano
Islamici in preghiera a Milano

Ce l’hanno fatta. Gli islamici di Milano sono ad un passo dall’ottenere la tanto agognata moschea. O meglio le moschee, come promette il bando del Comune di Milano per l’assegnazione di tre spazi per i luoghi di culto.

Secondo il comunicato rilasciato dal sito di Palazzo Marino, le aree individuate per i nuovi luoghi di culto sono via Marignano, al confine con San Donato, via Sant'Elia a Lampugnano accanto all'attuale Palasharp e gli ex bagni pubblici di via Esterle, una traversa di via Padova.

Dalla giunta Pisapia specificano che le tre aree non potranno essere assegnate tutte alla medesima confessione, ma per ora gli unici certi di portare a casa il risultato sono i musulmani: alla comunità islamica andranno quasi sicuramente sia l’area intorno al Palasharp, sia gli ex bagni pubblici di via Padova.

All’ombra del Monte Stella, sotto il tendone di quello che fu il Palazzetto dello Sport, ogni settimana gli islamici provenienti da mezza Milano si affollano per pregare sui tappeti stesi nei parcheggi: uno spazio che definire inadeguato è un eufemismo. Mancano i servizi igienici necessari per le abluzioni rituali, fuori dai cancelli fiorisce un mercato sulla cui regolarità c’è molto da dubitare.

“Ci vuole una moschea grande per tutti quanti, come ci sono le chiese nei Paesi arabi – spiega Felice, venditore ambulante marocchino, l’unico disponibile a parlare alla telecamera – Ma qui la soluzione del Palasharp fa schifo, non ci sono i bagni e siamo costretti a lavarci nei servizi igienici della metropolitana.”

Problemi integrazione e di sicurezza

Dal Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, però, spiegano che contro l’Islam c’è anche molta propaganda: “L’islamofobia cresce– racconta a ilGiornale.it il responsabile legale Reas Syed – e ci sono anche problemi di discriminazione: le ragazze con il velo, ad esempio, spesso si vedono porre condizioni particolari al momento della firma dei contratti di lavoro, anche a fronte di curricula di eccellenza”

Per quanto riguarda la moschea, Syed spiega che più di un unico grande centro gli islamici preferirebbero diversi luoghi di preghiera dislocati nei luoghi a più alta densità di popolazione musulmana.

Quanto ai problemi di sicurezza legati all’eventuale presenza di cellule eversive, “nella comunità noi non vediamo rischi”, assicurano dal Caim: “Collegare il terrorismo ai luoghi di culto è assolutamente sbagliato. Lo ha fatto Alfano perché non capisce nulla, ma leggendo i documenti che analizzano il fenomeno, si parla di convertiti via web, persone che non hanno alcun legame con la comunità, che li condanna anzi nel modo più assoluto.”

In viale Padova, però, gli abitanti (italiani) di una delle zone a più alta densità islamica di Milano, non sembrano entusiasti dell’eventualità, da più parti paventata, della costruzione di nuovi luoghi di culto islamici. Parlando con i soci di una bocciofila locale, il sentimento sembra unanime: “Ci dispiace, ma la moschea non la vogliamo, per motivi religiosi e di sicurezza”

Una conclusione, sia pure per motivi diversi, simile a quella a cui arriva Silvia Sardone, consigliere di Forza Italia in Zona Due. Non è il momento di aprire nuove moschee, spiega la Sardone: prima servirebbero un registro degli imam e provvedimenti legislativi che impongano le prediche in italiano.

Le promesse di Pisapia, conclude la Sardone, non cambiano il fatto che Milano sia piena di moschee abusive su cui il Comune continua a chiudere gli occhi.

Il caso del Centro islamico abusivo di Sesto S.Giovanni

Evidentemente, però, il problema dell’integrazione non si esaurisce ai confini di Milano. A Sesto San Giovanni, dalla Sinteco – azienda che produce macchine e impianti per l’industria alimentare – denunciano da mesi la costruzione di un centro islamico abusivo nell’adiacente zona industriale.

“Nei locali dove prima lavoravano cinque o sei operai si vorrebbero far arrivare ogni settimana centinaia e centinaia di persone – spiega l’ad Adriano Schiavolin – Mancano le vie d’accesso, le uscite di sicurezza e ci sono parcheggi per meno di un decimo dell’affluenza calcolata.”

“Resteremo a Sesto solo se ci verranno fornite precise garanzie scritte – prosegue Schiavolin rivolgendosi al Comune - Nel frattempo i lavori, che pure erano stati dichiarati fermi in attesa di verifiche burocratiche sono continuati regolarmente giorno dopo giorno.”

Al centro culturale islamico sembrano molto sicuro del buon esito finale del progetto, tanto da aver diffuso volantini per pubblicizzare l’apertura di quella che loro stessi definiscono la “Moschea di Sesto”.

Se è vero che il mondo dell’estremismo islamico sta in parte migrando dalle moschee a forme di reclutamento individuale nate su Internet, molti centri islamici rimangono comunque problematici, radicalmente antioccidentali e socialmente non integrati.

“Ci sono piccole scuole totalmente illegali in cui la visione di società e religione è incompatibile con una società democratica – spiega Lorenzo Vidino, collaboratore dell’Ispi ed esperto di terrorismo internazionale – Nell’Italia del nord esistono moschee e scuole islamiche clandestine che non sarebbero fuori luogo nelle zone più retrograde del Pakistan”.

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