Cronaca locale

La polemica Ma a Milano si mangia davvero male?

I MIGLIORI Le stelle non mancano e chef come Cracco e Berton hanno aperto dopo il 2000, segno di una realtà che sa proporre del nuovo

L’Espresso, parafrasando il Miracolo a Milano di De Sica. Un nuovo miracolo, questa volta grazie alla Brioschina di Edoardo Ruggiero che i lettori del Giornale conoscono da quasi un anno, tavola recensita da Enzo Vizzari, uno dei critici più preparati, pronto a raffrontare Milano con Roma. Lasciandomi con un dubbio: possibile che Milano sia così grigia, desolata e desolante? Trascrivo: «Da almeno vent’anni la ristorazione milanese non ha vissuto momenti opachi come l'attuale. Solo chi è a libro-paga di istituzioni ed enti vari milanesi può negare la piattezza e la staticità del panorama meneghino, se confrontato, per esempio, con la vivacità e la varietà di Roma».
Vent’anni non sono uno scherzo. Nell’89 Gualtiero Marchesi nemmeno si immaginava che quattro anni dopo avrebbe chiuso in Bonvesin de la Riva per emigrare in Franciacorta, il Gambero Rosso, editore in Roma, era ai primi passi e la capitale non aveva ancora superato Milano a livello di pubblicistica golosa, ma davvero il panorama attorno al Colosseo è tutto una novità?
Noto come nel mondo i congressi si contendono i cuochi di Milano e non quelli di Roma e in fondo bastano le eccezioni citate dallo stesso Vizzari per domandarmi se l’obiettivo degli strali non sia altro, un club, un collega, un sindaco: «Cracco capofila indiscusso, inossidabili e magnifici Aimo e Nadia Moroni, sfavillante e ottimo il Trussardi di Andrea Berton, il solito e solido Sadler e, dopo l'ultima svolta in chiave rigidamente vegetariana, Joia per chi apprezza il genere... Quindi, se non il buio tanto grigio, con qualche buon ristorante d'albergo, qualche sempre affidabile trattoria (che ci vengano conservate La Nuova Arena, L'Altra Isola, Masuelli), qualche giovane o ex giovane con i piedi per terra (Pane e Acqua, Nicola Cavallaro, Sempione 42, lo stimolante Zero nippo-fusion, la piacevole Langosteria, la nuova scommessa del Savini)».
Saremo anche nel momento più banale e inerme, però Cracco ha aperto nel 2000 (e poi si è affrancato dagli Stoppani), Berton nel 2006 (e quest’estate locale rifatto completamente) e i giovani citati tutti nel nuovo secolo, non mi pare segno di calma piatta.
E Roma? Di certo ha un filone a tutta pizza e birra che Milano nemmeno si immagina, però a livello di cucine del mondo è vero l’esatto contrario. Quanto alla tradizione, la capitale la conserva meglio, ma abbonda la fuffa truffa-turisti che sarebbe meglio sopprimere. Ma se per certi versi Cracco e Genovese (il Pagliaccio), Berton e Beck (la Pergola), Sadler e Colonna possono procedere affiancati, la ristorazione meneghina è meno dopata dai grandi alberghi che sul Tevere garantiscono sicurezza a tanti chef. Milano è più autentica e la Lombardia ancora più ricca, a differenza di un Lazio che vanta ben poche perle, Salvatore Tassa un grande, poi si scende in un Lazio fagocitato dal capoluogo.


La verità? Che la cucina italiana conquisterà per davvero il mondo quando invece di mettere le realtà contro, le si spingerà verso una comune meta.
PMar

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