Cronaca locale

«Il ponte? Presa in giro per i lombardi»

Maroni critica il collegamento sullo Stretto: soldi pure alle nostre infrastrutture

Maria Sorbi

Non crede alle sue orecchie il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni quando sente il premier Renzi risfoderare il progetto del ponte sullo stretto di Messina. E non si contiene nel commentare che «è una follia, una presa in giro per la Lombardia e per il Nord». Maroni sposa la tesi del collega Luca Zaia: quei soldi vengano utilizzati per «creare occupazione, infrastrutture davvero utili che attendono da anni, come il completamento dell'alta velocità ferroviaria Milano-Venezia su un tracciato dove ancora si viaggia su linee promiscue e di antica concezione».

E se proprio il governo insiste con lo stretto, faccia pure, ma trovi anche i soldi per le infrastrutture lombarde. Ad esempio per completare la Pedemontana. Le dichiarazioni di Renzi su Messina riaprono l'eterno dibattito sul diario Nord Sud, sulle tasse pagate dai lombardi e sugli investimenti che non ritornano in Lombardia ma vengono destinati al Sud Italia. Pochi mesi fa, quando la Lega ha nuovamente chiesto finanziamenti per completare il progetto della Pedemontana e «unirlo» alle strade del Veneto, il ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio aveva risposto: «Il Governo non è il Bancomat della Lombardia». E ora quella frase suona ancora più stridente. «La Pedemontana va conclusa e la concluderemo» rilancia Maroni che oggi sarà a Palazzo Chigi e chiederà, per l'ennesima volta, notizie dei 10 miliardi che la regione ha chiesto al governo e che sono attesi in aggiunta ai due destinati a Milano.

Non solo. Il presidente Maroni non molla nemmeno sulla questione dei frontalieri svizzeri. Ieri ha affrontato la questione con Renzi, in visita a Milano, e oggi tornerà sull'argomento durante la sua trasferta romana. E chiederà di inserire la «zona economica speciale» nella legge di stabilità. La zona franca per la fascia di confine con la Svizzera (cioè per quell'area compresa entro i 28 chilometri dal confine) consentirebbe benefici fiscali alle aziende e permetterebbe ai lavoratori lombardi di rimanere in Italia e non andare «a fare i pendolari in Svizzera».

«C'è già una legge che il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato nel febbraio 2014 - sostiene Maroni - ed è già stata mandata in Parlamento, iscritta negli ordini del giorno delle commissioni ma ferma. Giace da allora nel cassetto». La richiesta al premier è quella di rispolverare quel provvedimento e discuterlo per risolvere la diatriba di confine. Nel frattempo il presidente lombardo «tratta» anche con i ticinesi. Mentre aspetta risposte da Roma, Maroni ha preso appuntamento per la prossima settimana con il presidente del Canton Ticino Paolo Beltraminelli per capire cosa cambierà davvero dopo il referendum che vuole restringere gli ingressi in Svizzera degli italiani.

La tesi che sosterrà la Regione Lombardia al tavolo con i ticinesi è che i frontalieri contribuiscono alla crescita e alla produttività elvetica e perciò anche i loro diritti vanno rispettati. «Stiamo parlando di lavoratori onesti e non di immigrati clandestini» fa notare Maroni.

Sulla questione interviene anche il presidente del Consiglio regionale Raffaele Cattaneo: «È necessaria una sede permanente di discussione e di confronto in cui sia favorito un quadro programmatico unitario fra le parti, perché, se è vero che il risultato del referendum non avrà effetti pratici nell'immediato, è certamente un segnale che non ci lascia tranquilli».

A questo punto bisogna capire se saranno più veloci le trattative Lombardia-Roma o Lombardia-confederazione elvetica.

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