Cronaca locale

«Porto al Piccolo la mia Elvira Non è un omaggio a Strehler»

Tony Servillo regista e interprete dell'opera di Jouvet: «Un grande attore popolare, proprio come Eduardo»

Antonio Bozzo

Che Giorgio Strehler sia diventato ingombrante proprio a casa sua, chi se lo aspettava? Eppure, nel caso di Elvira, che al Teatro Grassi (dall'11 ottobre al 18 dicembre) inaugura la 70esima stagione del Piccolo, se non è così poco ci manca. «Rendo omaggio a Louis Jouvet, come Giorgio fece nel 1986 - dice Toni Servillo, regista e interprete -. L'allestimento di Strehler non l'ho neppure mai visto: la registrazione in Rai è stata cancellata per sbaglio. Poi lui non interpretò Jouvet, se ne guardò bene, e per la protagonista Claudia scelse la cinquantenne Giulia Lazzarini. Io ho scelto Petra Valentini, giovane ex allieva della Paolo Grassi, e faccio anche Jouvet. Insomma, il mio non è un omaggio a uno storico spettacolo di Strehler, ma alla memoria di Louis Jouvet: un attore popolare, come furono Gassman o Eduardo».

Servillo puntualizza, perché molti hanno messo in relazione - anche a sproposito - la sua regia con quella del «maestro fondatore», come se fossero necessari i padri nobili. Elvira, in prima nazionale e spettacolo di punta della nuova stagione, è tratto da Elvire Jouvet 40, testo in cui Brigitte Jacques (che sarà in sala il 14 ottobre) trascrisse sette lezioni che Jouvet diede negli anni '40 all'allieva Claudia, intorno alla seconda scena di Elvira, nel quarto atto del Don Giovanni di Molière. «Le battute dello spettacolo sono parole dette realmente da Jouvet a Claudia - dice Servillo -. Lo spettatore diventa un voyeur che assiste alla relazione maieutica tra maestro e allieva. Lui insegna a lei, lei insegna a lui. Le domande poste rimbalzano sul pubblico. Non si spia il lavoro nel teatro, ma il teatro al lavoro, tra verità e menzogna, paura e desiderio. Jouvet, nelle sue lezioni incandescenti, cerca la trasparenza, una rivelazione interiore che ha a che fare con lo stare al mondo».

Servillo, affiancato dal direttore del Piccolo, Sergio Escobar, tesse le lodi di lezioni che per l'attore napoletano sono state da sempre «grande nutrimento, sorta di terapia, anche se nella regia non ho guardato a questo aspetto». Servillo racconta un aneddoto. «Studiavo psicologia, ai tempi in cui erano centrali Cooper, Laing, Basaglia, Jervis. Avevo un esame di psicologia dell'età evolutiva, con un docente sacerdote, molto bravo. Ero stanchissimo, quella mattina, mi vergognavo di dire che cercavo di fare l'attore e avevo provato per ore e ore. Ma lui mi fece confessare la mia passione e disse: lasci perdere gli studi, le ingombrano lo spirito». La storia dell'esame c'entra con la misura del proprio talento, importante quando domina la mediocrità, che non costa fatica. Servillo sa che Milano lo ama. «Sono orgoglioso di andare in scena qui, con un pubblico esigente.

Milano è un'eccezione in Italia, con persone attente, soprattutto giovani, che conoscono una verità: il teatro suggerisce domande, non è mai una tribuna».

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