Cronaca locale

Povertà, mancano i soldi per il reddito minimo

Il ministro Martina spegne le speranza di un sussidio E la nuova legge anti spreco diventa un boomerang

Tutti lo sognano, tutti lo aspettano, tutti credono che diventi realtà da un momento all'altro. Può essere reddito minimo o reddito di inclusione sociale, se è un sussidio diretto o la possibilità di accedere a una rete di servizi in un percorso guidato. E però la doccia fredda sulla mattinata di lavori della Fondazione Banco Alimentare ad Expo arriva dal ministro dell'Agricoltura, Maurizio Martina, che non lascia ben sperare sul futuro di questo sussidio che ormai sembra la panacea di tutti i mali. Ci possiamo permettere il reddito di inclusione sociale? è la domanda. La risposta, sia pur garbata, sembra molto più un no che un sì. «È difficilmente praticabile sul versante della sostenibilità finanziaria» dice Martina. Con diplomazia non chiude tutte le porte: «Non sono contrario a sperimentazioni, senza fare battaglie ideologiche e senza ipotesi velleitarie».

Parole che provocano la replica a caldo del professor Giancarlo Rovati, il sociologo che insieme con Luca Pesenti ha curato il libro al centro del convegno: «Food poverty, Food bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale» (edizioni Vita e Pensiero).

«Attenzione all'effetto boomerang di alimentare speranze che non possono essere mantenute» è l'allarme. Racconta come una sperimentazione di sostegno al reddito sia già stata fatta nel 1998. Ma soprattutto cita l'esempio del Trentino Alto Adige, dove da venticinque anni esiste una misura di sostegno al reddito. «Il primo articolo della legge dice che il cittadino ha il dovere di provvedere a se stesso. Nella sperimentazione in Campania era esattamente il contrario: lo Stato ha il dovere di provvedere al cittadino».

Si discute anche di legge anti spreco. Martina spiega che l'obiettivo per il 2016 è di arrivare a un milione di tonnellate di cibo recuperato. Boccia l'idea di sanzioni fino al carcere per chi spreca, come nel modello francese. Ma l'idea di una legge non sembra allettare Andrea Giussani, presidente della Fondazione Banco Alimentare, soprattutto se dovesse essere calata dall'alto. «In Italia solo il 25 per cento delle 17mila strutture caritative offre servizi attraverso le mense. Ciò significa che se arriva una legge sullo spreco, le strutture non sono in grado di riceverla. È necessario che lo Stato ci interpelli».

Insomma, la legge anti spreco rischia di far sprecare altro cibo. Trattare il cibo fresco non è infatti la specialità numero uno delle strutture, che agiscono spesso con pacchi alimentari e altre vie di sostegno. Concordare gli interventi con chi realmente opera nel territorio è così fondamentale per evitare che le associazioni caritative si trovino spiazzate e incapaci di operare.

E veniamo a qualche dato della ricerca. La domanda è soprattutto: perché si diventa poveri? La risposta è legata soprattutto al lavoro che non c'è. Si diventa poveri perché hai un malato cronico in famiglia, perché a cinquant'anni perdi il lavoro, perché ti separi. Ma anche perché quel che guadagni non è sufficiente ad accompagnare la famiglia alla fine del mese. Sono i working poors, i poveri che lavorano. Con un boom delle persone indebitate, soprattutto nelle regioni del Nord.

E la povertà alimentare, che non significa fame ma difficoltà a nutrirsi bene, e così obesità e malattia, colpisce duro anche Milano e la Lomarcia. Come spiega nella sua analisi Luca Pesenti: «La perdita del lavoro rappresenta oggi la principale causa di impoverimento nel nostro Paese. Si è poveri perché disoccupati. E proprio per questo, tra i poveri sono sempre di più gli adulti italiani, accanto alle tradizionali forme di povertà tipiche degli adulti stranieri. E ci sono anche, ovunque, persone indebitate per far fronte ai casi della vita».

Poveri non si nasce, si diventa.

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