Cronaca locale

Il premio Gianni Brera agli atleti dell'anno, re di passione e fatica

Titolo alla carriera a Giuseppe Marchesi Targhe a campioni di scherma e triathlon

Il premio Gianni Brera agli atleti dell'anno, re di passione e fatica

C'era una volta Gianni Brera e un po' c'è ancora. A ricordarlo da 15 anni ci pensa il Circolo culturale dei Navigli con un premio agli atleti dell'anno che è il filo rosso che lega lo sport a un modo di essere che era poi quello di GiuanfuCarlo. E chissà come lo racconterebbe questo sport di oggi Gianni Brera. Non il calcio perché li non ci sarebbe storia. Avrebbe stupito raccontando anche il tiro a segno che è un grande sport che pochi conoscono. Sul palco dell'auditorium Testori della Regione sale la nazionale femminile juniores campione d'Italia e negli occhi di Anna Silletti, Gresia Balli, Pernilla Hernandez c'è la passione che è il motore che fa girare tutte le cose.

Difficile spiegare. Ma Brera lo avrebbe fatto alla sua maniera, avrebbe trovato le parole, se ne sarebbe sicuramente inventata qualcuna di nuova, avrebbe colto immagini e sfumature che sfuggono. La differenza è tutta lì. E allora il premio Brera diventa un piccolo sforzo per cercare di mantenerla viva quella passione che a 75 anni fa ancora tremare le vene di voglia Giuseppe Marchesi paracadutista della Folgore premiato alla carriera e pronto ad aggiungere lanci ai tremila già fatti. E premio anche all'Armani di Gentile, Melli, Hackett e compagni, perfetti e stilosi nella loro divisa ufficiale. Perfetti e stilosi in un'armonia che è la miscela tra glamour e gioventù. Premio al campionato vinto dopo 18 lanni di assenza e alla storia delle «scarpette rosse» che continua ma che forse un tempo era un'altra cosa, più ruvida e guascona. Né meglio, né peggio, semplicemente un'altra cosa. Diversa. Come i tempi che cambiano.

Così in uno sport che twitta e viaggia con cuffiette, gel e tatuaggi. Fatto di numeri, statistiche, medici e dietologi. Dove si monitora tutto, dove il cuore, la potenza, le falcate, le pedalate, i gesti sono un algoritmo ma è sempre la passione a fare la differenza. La passione che porta una ragazza Bebe Vio a diventare campionessa mondiale di scherma alle paralimpiadi e le dà una forza contagiosa che travolge come una folata di tamontana. La passione che spinge bracciata su bracciata, gambata su gambata Martina Grimaldi a mettersi dietro tutte agli Europei dopo 25 km in mare che sono cinque ore di tormento. Ed è sempre la passione che lascia a bocca aperta ad ascoltare le storie di gregari raccontate da Marco Pastonesi, giornalista della Gazzetta premiato per il suo libro sul Pirata, perche è vero che «Pantani era un dio» ma poi sono quelli che portano le borracce a permettere di scrivere la storia. E poco cambia se uno si chiama Gadret, Panizza, Nibali o Fontana. Sia il Tour o l'Ironman delle Hawaii la ricetta è sempre la stessa: cuore, sudore, gambe e fatica. E allora Daniel Fontana, il triathleta della Dds di Settimo Milanese, primo italiano a vincere un Ironman (4 km di nuoto, 180 di bici e 42 di corsa) sarebbe stato l'eroe perfetto per uno scrittore che sapeva fermare le storie in un attimo, in un parola, in un'immagine.

Uno scrittore che amava i mediani e chi sapeva soffrire.

Commenti