Cronaca locale

Preso l'artista delle truffe La fuga finisce ad Abu Dhabi

Alberico Serbelloni avrebbe sottratto un miliardo al fisco Già condannato a 8 anni, era nella capitale degli Emirati

Luca Fazzo

Dice un vecchio milanese che ha lavorato a lungo con lui: «Eh, l'Alberico... l'era no on ghezz, non era un astuto. Coraggioso, questo sì, al limite del temerario. Ma intelligenza pochina». E così il vecchio collaboratore costringe a reinterpretare la notizia che ieri pomeriggio arriva da Abu Dhabi in diretta sui siti di tutta Italia: hanno acciuffato Alberico Cetti Serbelloni, «finita la fuga del nobile milanese», colpevole della «truffa da un miliardo» al fisco italiano». L'immagine sottratta a Facebook racconta di un bell'uomo con i baffetti, aria vagamente fatua: e viene quasi istintivo raccontare la vicenda secondo il clichè del nobile decaduto e un po' gaglioffo, che dietro lo schermo dell'araldica compie crimini da colletto bianco. D'altronde il business del conte (o marchese, non è chiarissimo: ed è pure possibile che i diritti sul titolo si siano persi per altri rami principali o cadetti della vasta famiglia) era da sempre quello dell'arte: mercante, gallerista, editore. Ed è noto come su questo mondo aleggi da sempre il sospetto di essere permeabile agli imbrogli.

In una intervista ai tempi d'oro, si era autodefinito «artista del business». Per la giustizia italiana, che lo inseguiva da anni, Alberico Serbelloni era invece un artista delle fatture false, in grado di sottrarre al fisco la fantasmagorica cifra di un miliardo di euro spostando crediti e debiti in un carosello di società fittizie, tutte ruotanti intorno alle sue creatrure: la Gabrius e la G-Edizioni, specializzate nel prdurre i data base per le aste d'arte in tutto il mondo. Lo avevano arrestato all'inizio del 2007, e scarcerato poco dopo. Al processo, lo avevano condannato a otto anni e mezzo di carcere. Ma intanto il conte (o duca) aveva cambiato aria. Lo catturano in uno dei posti più cari del mondo, Abu Dhabi: segno che della megatruffa al fisco gli era rimasto in tasca a sufficienza da finanziarsi una latitanza confortevole. «Conduceva un'esistenza dorata», dicono gli investigatori, secondo cui si era intascato almeno il venti per cento del miliardo. Tanti soldi.

Eppure i racconti di chi lo ha conossciuto da vicino faticano a coincidere con l'immagine di genio dell'imbroglio: cui Alberico (discendente di quel soldataccio di scorza dura che fu Gabrio Serbelloni) appare inadeguato non per eccesso di qualità morali ma per carenza di acume. «Non era neanche lontanamente in grado di architettare un sistema complicato come quello scoperto dalla Procura», racconta il suo ex collaboratore. «In compenso, era totalmente incapace di capire le persone di cui si circondava».

Vuol dire che intorno all'uomo con i baffetti si muovevano soggetti di diversa caratura criminale, ben lieti di usare il suo nome altisonante per sponsorizzare e coprire i loro traffici? Adesso che (malvolentieri) Alberico Serbelloni torna in Italia, qualcosa potrebbe spiegare.

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