Cronaca locale

Quando Martini bloccò l'assalto dei marxisti alla Chiesa e al Vangelo

Il generale dei gesuiti Arturo Sosa racconta lo scontro a cui era presente Papa Francesco

Quando  Martini bloccò l'assalto dei marxisti alla Chiesa e al Vangelo

«L'ho visto da lontano, l'ho incrociato da giovanotto quando lui era rettore del Pontificio Istituto Biblico e io facevo il primo ciclo di teologia alla Gregoriana, tra il 1974 e il 1977. L'ho conosciuto attraverso i suoi testi sugli Esercizi spirituali di sant'Ignazio e in particolare sul Vangelo di Giovanni». È Arturo Sosa, padre generale dei Gesuiti dall'ottobre scorso, venezuelano, nato nel 1948 da un imprenditore e banchiere diventato ministro nei governi di transizione tra dittatura e democrazia in Venezuela, primo non europeo a guidare la Compagnia fondata da sant'Ignazio, a presentare al Centro San Fedele il terzo volume dell'opera omnia di Carlo Maria Martini, dedicato a «Giustizia, Etica e Politica nella città» (edizioni Bompiani), raccolta di scritti dal 1980 al 2002, i ventidue anni in cui il padre gesuita fu vescovo di Milano.

Padre Sosa, conversando con padre Giacomo Costa e padre Carlo Casalone, riporta in vita un ricordo forte che evoca il comunismo e unisce Martini, papa Francesco e lui stesso, giovane sacerdote. È la trentaduesima Congregazione generale dei Gesuiti, nel 1974, quando «quelli della fede quelli della giustizia si contrapponevano come tradizionalisti e progressisti», dice Costa. E il cardinale Martini aiutò a capire che non erano due prospettive che si contrapponevano. «Ero a Roma e alloggiavo al Collegio del Gesù - ricorda Sosa - e noi stuzzicavamo un po' i delegati per vedere che cosa succedeva all'interno. Era una Congregazione molto conflittuale che è stata sospesa una settimana per placare gli animi tra di loro e con il Papa. In quell'ambiente Martini diede un contributo determinante. Il cardinale partecipava come delegato dell'Italia e papa Francesco come provinciale dell'Argentina. Si giunse a stabilire che la fede non può essere annunciata senza promuovere la giustizia. Questo si capisce come profezia della Bibbia».

Il racconto prosegue con la confusione che allora si viveva tra marxismo e Vangelo: «Erano i tempi in cui queste tematiche risentivano molto dell'influsso dell'impostazione marxista - dice ancora Sosa - Parte del conflitto della Congregazione veniva dal fatto che una parte importante dei delegati venivano dai Paesi comunisti e allora con alcune parole, con la parola giustizia, sembrava che fosse il governo della Polonia che parlava e non la giustizia del Vangelo. E la giustizia assumeva un significato prevalentemente materiale. Martini, grazie anche alla sua enorme competenza biblica, permise alla discussione di non incagliarsi negli scogli della contrapposizione. Fu chiarito che la giustizia rappresenta per i gesuiti - e io dico per tutti i cristiani - una parte imprescindibile. In questo è stato incorporato il dialogo con le altre religioni».

Risponde ai giornalisti il generale dei Gesuiti. Se Martini colse già nel 1980 il fenomeno migratorio, quando ancora non era un tema nell'agenda politica, adesso in Italia qual è la priorità per l'immigrazione e quale l'equilibrio da trovare? «L'Italia mi sembra sia stata molto accogliente e che adesso si cerca di fare su questo un dibattito che non è sulla migrazione, è su come si gestisce il potere politico. C'è un indebolimento delle organizzazioni antiche, dei partiti che chiedono una rivitalizzazione. Il tema dei migranti è un tema che bisogna vedere in modo più complesso. La società europea ha bisogno dei migranti, perché ha bisogno di giovani per il lavoro e per la produzione. Bisogna fare un discorso che metta questo discorso a fuoco e non si nascondano altri interessi quando si parla di migrazioni». E come si vede l'Europa dall'angolo di osservazione dell'America latina? «Con invidia, perché ha percorso un cammino per l'integrazione. È vero che attraversa un momento critico.

I cosiddetti populismi nascondono individualismi politici che potrebbero finire in sistemi politici autoritari, indebolendo la democrazia così faticosamente costruita».

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