Cronaca locale

Quella lite sul fascismo nasconde il vuoto di idee

Invece di discutere su come risolvere il problema dei campi nomadi si urlano contro tra gesti fuorilegge e provocazioni ben orchestrate

Quella lite sul fascismo nasconde il vuoto di idee

Ho guardato e riguardato il video relativo all'episodio verificatosi a Palazzo Marino l'altro ieri. Era in corso una riunione della commissione per la Sicurezza sociale sul tema dei campi rom. Il presidente della commissione, Mirko Mazzali (quota Sel) ammette, ma soltanto come uditori, alcuni rappresentanti dei circoli neofascisti impegnati in prima linea contro l'insediamenti dei campi. A questo punto la consigliera Anita Sonego (quota Sinistra per Pisapia) dichiara di non voler partecipare a una riunione che ammetta dei fascisti. Uno di loro, Gabriele Leccisi, alza la mano e dichiara di essere fascista e di esserne fiero.

Vorrei fermarmi qui per un istante. Gli elementi a nostra disposizione per adesso sono: le posizioni discordanti di due membri della sinistra circa l'opportunità di ammettere fascisti in aula, e l'uscita non opportuna di Leccisi con annessa alzata di mano.

Sul gesto di Leccisi, di cui dicono abiti vicino a un campo rom, c'è da chiedersi se intendesse fare un saluto fascista. Dal video non si capisce: potrebbe avere semplicemente alzato la mano lasciandosi sfuggire una posa alla quale, in altri contesti, probabilmente è abituato. Il suo non è proprio un saluto fascista in piena regola, anche se le parole che l'hanno accompagnato non sono equivocabili.

Pisapia, che ha annunciato un esposto nei confronti di Leccisi, ha qualche ragione, e nessuno glielo nega. Tuttavia, resta nell'aria odore di trappola. Sono commediole che ho visto troppo volte per non nutrire (magari a torto) qualche sospetto. Atto primo: un presidente di commissione ammette i fascisti (di chiara fama) in aula, a condizione che tacciano. Atto secondo: un consigliere solleva l'obiezione, suscitando la reazione di Leccisi. Atto terzo: bagarre in aula ed esposto del sindaco.

Un altro elemento a sostegno del mio sospetto è che Leccisi e amici siano stati ammessi proprio a una riunione sui campi rom, dove era prevedibile che gli animi si sarebbero scaldati. A questo punto mi viene da pensare che tutta la confusione seguita all'intervento di Leccisi sia stata orchestrata per una ragione banale, e cioè che sul problema dei rom nessuno, in questa commissione, aveva qualcosa da dire, e che comunque del problema non gliene importava nulla. Oppure che si prevedevano troppe contestazioni e si è preferito, come in certi bar di periferia di 30 anni fa, buttare tutto in politica.

Perché è un fatto che dei campi rom non si è parlato. E non solo per colpa di Leccisi. La colpa è di tutti. Eppure il nostro governo, pur così fragile, dimostra che si può non solo buttare tutto in politica, ma anche tentare di farla, la politica. Da milanese amante della mia città, coltivo l'abitudine di rileggermi la Storia della Colonna Infame di Alessandro Manzoni. Già lui ci ricordava che, quando la verità costa troppo (e costa sempre troppo) e le idee scarseggiano, e il Bene Comune è solo un fiato di vento, la ricerca dell'untore diventa una comoda via d'uscita, una finzione necessaria che permette a chi governa di fare bella figura senza fare il proprio dovere.

Ma le mie sono parole inutili, temo.

Quello che è successo a Palazzo Marino è un piccolo episodio dell'odio che percorre l'Italia, non dai tempi di Mussolini e nemmeno da quelli di Cavour ma dai tempi di Dante: quell'odio che, spesso e volentieri, ci ha trasformato in servi.

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