Cronaca locale

Quelle «Variazioni» tra Bach e la Shoah

Il drammaturgo Micheletti mette in scena il capolavoro di George Tabori

Antonio Bozzo

Un giovane drammaturgo, regista e attore bresciano, Luca Micheletti, compra a Parigi un libro di George Tabori, grande scrittore ebreo-ungherese. Non sa che quel libro è già stato tradotto in italiano e lo legge in francese. Una folgorazione: il testo deve essere messo in scena. Ci siamo: «Le variazioni Goldberg», diretto e interpretato da Micheletti, sarà in prima nazionale in Sala A al Franco Parenti, dal 3 al 13 novembre. Dieci giorni per scoprire un autore eterodosso, poco conosciuto in Italia, ma di culto nel mondo germanico, e in America, per opere dissacranti come «I cannibali» e un coraggioso e parodistico «Mein Kampf» che entusiasmò Vienna sul finire del Novecento. Tabori, scomparso ultranovantenne nel 1997, lavorò anche per Hitchcock e fece la spia per Sua Maestà britannica. «Lo spettacolo che debutta a Milano tocca un nervo scoperto dell'Occidente», dice Micheletti. «Attraverso una messinscena ricca di witz - i motti di spirito come li intende la cultura ebraica - siamo portati a riflettere sulle radici comuni. Witz, oltretutto, significa spirito nel senso più sacro: si può ridere anche di cose profonde». Lo sappiamo: la cultura e la tradizione ebraica somigliano, a volte, a un supremo e raffinato cabaret, e non è un'offesa. Lo spettacolo, spregiudicato, politicamente scorretto (ma il teatro non dovrebbe esserlo sempre?), parte dall'interpretazione di testi sacri che può portare talvolta a cecità storica. «Tabori lo scrisse nel 1991, epoca in cui furoreggiava l'estetica postmoderna. Oggi noi, post-postmoderni, ne vediamo ancora meglio l'aspetto di umorismo e citazionismo», commenta Micheletti. «A partire dal titolo: Goldberg è un cognome ebraico diffuso come da noi Rossi, ma rimanda anche alle variazioni di Bach, uno dei vertici della creatività umana». La storia ruota intorno a una compagnia teatrale che mette in scena la Bibbia (la Torah) in una Gerusalemme fragile ed eterna. Si trasforma in teatro, con gli stilemi yiddish, la genesi e il nostro rapporto con le origini. Quella vicenda ci riguarda tutti, ebrei o non ebrei, con convinzioni religiose o certi di vivere in un mondo di cui siamo solo ospiti non necessari, se non molesti. «Anche in scena», dice Micheletti, «sono il regista, l'uomo che guida la compagnia impegnata con un testo che diventa campo di battaglia ideologico. Un demiurgo capriccioso, come voleva Tabori in pagine che sono l'incontro di commedia e tragedia». Con Micheletti, cinque attori, accompagnati al pianoforte da Rossella Spinosa.

Lo spettacolo, prodotto dal Parenti e da Compagnia teatrale I Guitti, è l'occasione per fare i conti con Tabori, scrittore di temi ebraico-universali amato anche da Ingmar Bergman.

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