Cronaca locale

Il rabbino Arbib: "Ci sono limiti all'accoglienza"

l'imam Pallavicini: "No al buonismo coi criminali"

Il rabbino Arbib: "Ci sono limiti all'accoglienza"

Se il cibo è più di un simbolo, esperienza elementare e originaria, dice molto dell'accoglienza possibile questa elegante sala dell'hotel Melià, apparecchiata per i senzatetto di ogni fede e di nessuna fede, adorna dei piatti dello chef pluristellato Heinz Beck. Chef kosher, che si attiene ai cibi concessi dalla religione ebraica e che oggi ai fornelli ha rispettato anche l'halal, ciò che è lecito mangiare ai musulmani. Ne è risultato un menù a base di pesce, «perché è più semplice, ma anche vegetariano e vegano non creano problemi a nessuno», spiega Beck.

I cristiani, dopo la visione di san Pietro apostolo, che si sentì dire «Alzati, uccidi e mangia», non hanno più cibi proibiti e con loro il dialogo a tavola è semplicissimo. I senzatetto apprezzano ogni raffinata portata, non lasciano nemmeno una molecola stellata nel piatto, ma si riempiono lo stomaco e le tasche soprattutto di pane. Squisito qui alla Tenda di Abramo, organizzata dalla Comunità ebraica per parlare dei temi di Expo. Simbolo di accoglienza la Tenda del patriarca, perché aperta ai quattro lati.

Ma c'è un limite all'accoglienza oppure no? È la domanda affilata del primo dibattito tra i rappresentanti delle religioni monoteiste: rav Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica, l'imam Yahya Pallavicini, vice presidente del Coreis, e monsignor Pier Francesco Fumagalli, dottore dell'Ambrosiana e responsabile dei rapporti con l'Ebraismo della Diocesi. Dopo aver pranzato fianco a fianco, dibattono nel salottino.

«C'è un limite» è la risposta che arriva da rav Alfonso Arbib. Da «uomo della strada» sottolinea la necessità di «stabilire priorità» nell'accoglienza di profughi e migranti, chiede «reciprocità» e teme «una società in cui sono confuse tutte le identità». Se accogliere chi muore di fame o deve essere portato urgentemente all'ospedale è un dovere di giustizia, negli altri casi bisogna organizzarsi: «Servono scale di priorità per una nazione, quando si ragiona a medio o a lungo termine». Davide Romano, assessore alla Cultura della Comunità, sottolinea che «qualche problema sul territorio c'è, in particolare a scuola, dove quando si parla di Shoah, c'è qualche resistenza, addirittura un rifiuto, soprattutto da parte dei ragazzi di origine magrebina».

Un altolà arriva dal rappresentante del mondo islamico. «No al buonismo indiscriminato» dice Pallavicini, che invita a «non confondere la libertà di religione con la tematica della sicurezza». Dice l'imam: «Criminali e rifugiuati non sono uguali». Oltre questo limite, però, l'accoglienza è dovuta a tutti, perché «accogliere vuol dire superare il proprio io e scoprire l'incommensurabilità di Dio».

Piena sintonia, in questo, con monsignor Fumagalli. Lui racconta la storia del ministro cinese Lisl che nel 237 a.C doveva rispondere alla domanda dell'imperatore: ma questi immigrati dobbiamo farli entrare oppure no? a quei tempi, a dare la risposta sbagliata, si rischiava la testa. «Lisl gli rispose: se non li fai entrare, ti faranno la guerra da fuori. E poi anche il tuo impero è composto da sette regni, sei dei quali non sono della tua etnìa».

A tavola come dietro il tavolo dei relatori.

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