Cronaca locale

Il ritorno del pianista turco Say Un concerto nel nome di Mozart

Ferruccio Gattuso

Assistere a un concerto di Fazil Say non può lasciare indifferenti. Il pianista turco è da anni un artista di culto, richiesto sui maggior palcoscenici internazionali non solo per il suo talento interpretativo classico (soprattutto sugli spartiti del prediletto Mozart, di cui ha lasciato egregie incisioni) ma anche per la sua capacità di abbinare classica e jazz: le sue «Paganini Variations» e soprattutto la lettura jazz del mozartiano «Rondò alla Turca» (standing ovation in Conservatorio lo scorso inverno) hanno lasciato il segno nella memoria del pubblico. Senza contare le pagine scritte dallo stesso Say, come la struggente «Black Earth», luogo d'incontro tra le armonie del romanticismo occidentale e gli echi anatolici di una Turchia profonda.

Oggi Fazil Say - che da qualche tempo si è praticamente auto-esiliato in Giappone («sono stato escluso dalla società turca per il mio ateismo», ha spiegato con sincerità in un'intervista sul quotidiano turco «Hurryet») è atteso, per tre concerti evento in Auditorium in Largo Mahler, come solista e direttore dell'Orchestra Verdi: questa sera, domani e domenica (rispettivamente alle ore 20.30, 20 e 16, ingresso 48,30-18,50 euro, info 02.83.38.94.01). Il repertorio è, per gli appassionati di Say e di Mozart, imperdibile: l'artista propone due assoluti gioielli del genio di Salisburgo, i Concerti per pianoforte e orchestra n. 12 in la maggiore K 414, miracolo di leggerezza, e il più maturo n. 23 in La maggiore K 488, nel quale spicca uno dei più begli Adagi mai composti da Mozart.

A completare il programma, a inizio concerto, l'Overture da «Le Nozze di Figaro» e, a separare i due concerti mozartiani, un'opera originale dello stesso Say, il Concerto per pianoforte e orchestra «Silk Road» («La Strada della Seta»), dal quale traspare un profondo amore per una terra che, a causa del regime sempre più soffocante di Recep Tayyip Erdoan, gli è negata: Fazil Say è già sotto processo per «blasfemia» e rischia, in patria, diciotto mesi di carcere.

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