Cronaca locale

"Roma studia altri tagli. Con il decentramento possiamo sopravvivere"

L'assessore regionale all'Economia fa i conti del federalismo e spiega la bomba sanità

"Roma studia altri tagli. Con il decentramento possiamo sopravvivere"

Assessore Massimo Garavaglia, leghista, bocconiano, assessore all'Economia al Pirellone e coordinatore degli Affari finanziari della Conferenza delle Regioni, lei ha partecipato a questa campagna referendaria?

«Certo, ho partecipato dal punto di vista istituzionale, più che politico, con tanti incontri finalizzati a chiarire quali sono le istanze in gioco in questa partita».

Quali sono queste istanze?

«Più autonomia nell'ambito delle materie da portare a casa e previste in Costituzione. Tutte. Obiettivo è far girare la macchina. Dato oggettivo è che la spesa statale regionalizzata in Lombardia è la più bassa: 2.450 euro contro una media nazionale, superiore di 1.250 euro. Questo dimostra matematicamente che ogni euro speso qui rende di più».

Trattenere risorse sul territorio conviene a tutti?

«Ci guadagnano tutti. I temi sono due: il rapporto centro-periferie e diversi livelli di efficienza. Da un lato, per esempio, abbiamo da Monti in poi la tesorerie unica, ogni Comune versa le tasse locali a Roma nel calderone romano e tornano indietro se e quando decide il governo. Nella bozza di manovra questa tesoreria arriva fino al 2021 e questa segnala la indisponibilità del centro a mettersi a discutere con le autonomie. Stessa cosa dicasi per i trasferimenti».

Come vivono le Regioni?

«Di finanza derivata. Le risorse proprie sono marginali, bollo e addizionale Irpef. Ma questa finanza derivata comporta distorsioni. Esempio: il deficit dell'anno venturo è fissato a -1,6 punti di Pil, ma in realtà se si va a vedere a livello di governo il buco è a 1,8, ma le autonomie danno avanzo per l'altro 0,2. Le regioni in particolare fanno avanzo per 2,7 miliardi, incassano imposte del territorio e non spendono per 2,7 miliardi. Mentre il governo rinvia il pareggio di bilancio centrale, le Regioni sono in pareggio dal 2015. Anzi non sono a pareggio, devono fare avanzi per 2,7 miliardi».

Lei ha parlato di tagli nella manovra per 450 milioni.

«Sì, quei 2,7 miliardi significano 450 milioni di tagli per noi, e per l'Emilia 280, senza considerare la parte sanità».

Cosa succede nella sanità?

«È un nervo scopertissimo; il rinnovo del contratto di settore, non finanziato, è il 3% del monte salari: 1,2 miliardi, noi siamo il 16-17% quindi sarebbero altri 350 milioni che graverebbero sul fondo sanitario della Regione, per cui o riduci i servizi o aumenti il ticket o allunghi le liste d'attesa. Sempre i cittadini pagano».

Materie, la Lombardia chiede tutto. Cosa c'è dentro?

«Premesso che la piattaforma la deciderà il Consiglio regionale, ci sono materie più o meno interessanti. Importante il coordinamento della finanza pubblica, cioè il fatto che le partite fra enti locali si giochino sul territorio. Esempio la flessibilità per investimenti. Se un Comune deve fare una scuola è giusto che abbia più spesa in quell'anno e che poi tiri il freno facendo sì che sia un altro Comune l'anno dopo a fare una scuola. Oggi è impossibile, le regole sono uguali per tutti e penalizzano tutti allo stesso modo».

E il sistema tributario?

«Ci sono margini di manovra tutti da esplorare, in particolare in tema di rapporti col mondo imprenditoriale, di ampliamenti della base imponibile e semplificazione tributaria. Altro esempio: lo sconto del 10% sul bollo auto per chi fa la domiciliazione di fatto si ripaga con minori costi di gestione e col recupero dell'evasione».

Il residuo fiscale, differenza fra le tasse pagate e servizi ricevuti, è di 54 miliardi. Quanti recuperabili?

«Questo saldo segnala che in Lombardia c'è la spesa pro capite minore e i servizi migliori in tutti i settori. Le entrate qui sono il 35% in più della media. Ogni lombardo riceve 2.450 euro a testa e il saldo negativo è 5.400 euro. Abbiamo il costo più basso e il gettito pro capite più alto, perché ci sono più aziende, professionisti e lavoro e si pagano più tasse, con l'evasione più bassa del Paese. Quindi in Italia i servizi i potrebbero migliorare spendendo meno. Questi dati certificano un'ingiustizia e giustificano la richiesta di autonomia. Se fossimo fessi come i secondi il residuo calerebbe di 15 miliardi. Un bell'affare».

Adesso che succede?

«Non si può essere contro l'autonomia. E non lo dico per ideologia. I cittadini prima hanno bocciato l'accentramento col referendum del 4 dicembre, ora questa espressione popolare va in direzione opposta e chiede dal basso un riordino delle competenze previsto dalla Costituzione.

Si può fare e forse è la volta buona che si farà».

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