Cronaca locale

"Salotto" e "Gatto rosso" battono il Comune e resteranno in Galleria

Il Consiglio di Stato accoglie il loro ricorso e riconosce la "tradizione storico-culturale"

"Salotto" e "Gatto rosso" battono il Comune e resteranno in Galleria

«La tradizione storico-culturale di una città si tutela anche attraverso la salvaguardia di locali storici, ovvero di quegli esercizi commerciali che costituiscono un elemento di memoria e connotazione storica». È questo il passaggio centrale della sentenza con cui ieri il Consiglio di Stato ha chiuso la battaglia sulla Galleria Vittorio Emanuele. Viene sconfitto il Comune che aveva aperto le porte del «salotto buono» della città a imprenditori senza storia né glamour. E vincono due inquilini ormai storici della Galleria, il «Salotto» e il «Gatto Rosso» che evitano lo sfratto e si vedono riconosciuto il diritto a continuare a servire i loro piatti nel gioiello architettonico progettato dal Mengoni.

In concreto, la sentenza conferma la decisione del Tar della Lombardia che l'anno scorso aveva dato ragione in primo grado al ricorso dei due ristoranti storici. La gara d'appalto che nell'aprile 2017 aveva assegnato i due prestigiosi spazi a due imprese finora semisconosciute, la Lupita's srl e la Molino 6-678, viene annullata. Quella gara, dice la sentenza, non si sarebbe dovuta nemmeno tenere.

Per i titolari e i dipendenti di «Salotto» e «Gatto Rosso» è un gigantesco sospiro di sollievo. Per il Comune è una figuraccia (aggravata dalla condanna a risarcire diecimila euro di spese legali ai due ristoranti) perché a motivare la decisione del Consiglio di Stato è stato proprio il comportamento di Palazzo Marino che di fronte alla delicata questione degli spazi della Galleria si è mosso in modo contraddittorio e scomposto, garantendo la sopravvivenza ad alcuni locali e negandola ad altri senza alcuna spiegazione della disparità di trattamento. Dopo che l'Anac aveva sollecitato il Comune a assegnare gli spazi, una volta scaduti i contratti, con una gara aperta a tutti, il Comune aveva infatti deciso di «salvare», garantendogli la proroga, solo il «Camparino» e il «Savini» e non «Gatto Rosso» e «Salotto». È questa la decisione che la sentenza considera «viziata da eccesso di potere e disparità di trattamento». In quel modo il Comune tradiva le linee guida varate dal Comune stesso nel 2015, secondo cui «la scomparsa o sostituzione con altre insegne intaccherebbe sensibilmente l'immagine e l'identità storica della Galleria».

Partita chiusa? Forse no, perché l'assessore al Bilancio, Roberto Tasca, pur dicendo che «le sentenze non si discutono» annuncia che la pratica verrà riaperta e si farà una nuova istruttoria «in base ai principi di tutela del bene pubblico attraverso la concorrenza» e facendo già sapere che «i casi in cui eviteremo di fare le gare saranno pochi e trasparenti».

Ma intanto Gianluca Comazzi, capogruppo di Forza Italia in Regione, chiede che sia Tasca a pagare di tasca sua le spese legali causate dalla vera e propria persecuzione» cui i due locali sarebbero stati sottoposti da Palazzo Marino.

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