Cronaca locale

Alla Scala l'eros e thanatos della tragedia dannunziana

L'opera di Zandonai torna in scena dopo 59 anni di assenza nella nuova produzione del regista Pountney

Alla Scala l'eros e thanatos della  tragedia dannunziana

Francesca, figlia di Guido da Polenta, sogna di convolare a nozze con il Bel Paolo. Ma tutto è già stato predisposto dalla famiglia che alle ragioni del cuore antepone quelle politico militari: la fanciulla sedicenne, sposa bambina, si unirà al fratello di Paolo, Gianciotto, uomo rozzo e sciancato. Ma galeotto fu il libro e chi lo scrisse, perché i due cognati, Paolo e Francesca, vanno oltre protocolli e contegni leggendo la storia di un altro amore illecito, quello di Lancillotto e Ginevra. Anche loro, vinti dalla passione si baciano. E amor, ch'a nullo amato amar perdona, ne farà una coppia adultera. I due amanti moriranno per mano di Gianciotto che li coglie sul fatto (o meglio: su uno dei fatti). La storia, in parte vera, di Francesca da Rimini ha sempre intrigato penne e pennelli d'artisti. Dante Alighieri in testa, che colloca i due fra i lussuriosi del Quinto Canto dell'Inferno, quindi D'Annunzio che firmò una tragedia lirica dalla quale Tito Ricordi ricavò il libretto poi tradotto in musica da Riccardo Zandonai: correva l'anno 1914.Domenica prossima, l'opera Francesca da Rimini di Zandonai torna alla Scala dopo 59 anni d'assenza. La vedremo nella nuova produzione firmata dal regista britannico David Pountney, con Fabio Luisi sul podio, Maria José Siri nel ruolo del titolo, Marcelo Puente nei panni di Paolo e Gabriele Viviani in quelli di Gianciotto.

L'omicidio dei due amanti è l'ennesimo fatto di sangue in un'opera contrassegnata da battaglie, violenze, teste mozzate. Il mondo maschile è feroce e guerrafondaio, mentre è sensuale e arrendevole quello femminile. Due poli tradotti dalle scenografie colossal di Leslie Travers. Si parte dalla statua di donna alta sei metri in un un semicilindro eburneo: d'un bianco candido, è il mondo di Francesca, che a un certo putto si squarcerà tingendosi di rosso sangue. Mentre la macchina da guerra con tanto di cannoni, in ferro scuro, traduce la realtà maschile, sanguinaria e feroce. Due universi che - dice il regista - convivono in D'Annunzio, uomo e artista. Il poeta aviatore in quest'opera proietta da un lato la fascinazione per la guerra, dall'altro per Eleonora Duse, la musa sulla quale cucì la pièce. In quel mondo femminile remissivo e sognante, fatto di letture trasognate e lunghe attese, s'impone la figura di Francesca. «Quando comprende l'inganno del matrimonio, reagisce gettandosi nel pieno della battaglia, superando i limiti imposti alle donne dell'epoca. Nell'ultima parte dell'opera, userà la passione per riaffermare la sua indipendenza», spiega il regista. Tinte, modi, colori medioevali vengono riletti con occhi novecenteschi: sul duplice fronte, scenografico-registico e musicale. Il direttore d'orchestra Luisi spiega che questa partitura risente delle correnti culturali dell'epoca, fortemente mitteleuropea. Del resto, venne scritta da un musicista che, come Italo Svevo, nacque in terre all'epoca austriache, Rovereto, sebbene poi si formò alla scuola di Mascagni.

In Zandonai convivono sinfonismo tedesco, impressionismo francese e verismo italiano.

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