Cronaca locale

Scola rassicura la detenuta: «Gli oratori? Luoghi sicuri»

La domanda di una madre scuote il vescovo: su 3mila sacerdoti pochi casi di molestie in tre anni. Tutti processati

Sabrina Cottone

Suhei ha 22 anni e arriva dalla Repubblica domenicana. È lei, detenuta nel carcere di Bollate, a porre al cardinale Angelo Scola la prima domanda, subito spiazzante: «L'oratorio è sempre stato per noi mamme un punto di riferimento importante, ma con episodi brutti che hanno coinvolto preti è ancora un posto sicuro in cui far crescere i nostri figli?». Quesito speculare arriva da un sacerdote, anche lui detenuto a Bollate, condannato che da sempre si professa innocente. «Noi dobbiamo chiedere perdono alle vittime. Ma chi è deputato a giudicare, anche se sbaglia non dovrà pagare e il perdono è difficile».

È così che nel teatro a quinte nere e poltrone rosse di Bollate, carcere modello dove «riscatto» e «recupero» non sono solo parole, si parla di amore, di Vangelo, di immigrazione e integrazione, di casa che manca quando si esce per i permessi premio, ma anche di errori giudiziari e di un tema duro come la pedofilia, con le domande poste dai detenuti, maschi e femmine insieme a dialogare con l'arcivescovo.

Scola racconta l'oratorio e spiega perché è il bene a prevalere. Parlano i fatti e i numeri: «I nostri oratori, che sono quasi mille in Diocesi, sono un luogo educativo fondamentale che viene ammirato in tutto il mondo. Pensate che durante l'oratorio estivo, almeno quattrocentomila ragazzi partecipano alla vita dell'oratorio, pregando insieme, facendo un po' di doposcuola, studiando arte, dedicandosi a gite. È un momento desiderato dai genitori che sanno di poter affidare i figli a sacerdoti, educatori laici, in un ambiente sano e rispettoso».

Certo, ammette Scola, gli episodi brutti che hanno coinvolto sacerdoti non sono mancati: «Non nego che ci sono stati episodi. Nella nostra Diocesi i preti consacrati sono quasi tremila, con i casi identificati non siamo mai arrivati ai dieci casi ogni due o tre anni. Vengono vagliati da un processo diocesano di tipo canonico molto serio e rigoroso. Penso che tutte le famiglie possono in modo sostanziale restare serene. Quando questo delitto sia stato effettivamente commesso, ovviamente viene da noi radicalmente condannato, perché anche un solo caso è un episodio molto grave, come tutti gli ultimi Papi hanno richiamato».

Il cardinale invita l'uomo, il sacerdote che non riesce a perdonare chi lo ha giudicato a seguire la via stretta: «Non possiamo eliminare del tutto che anche nell'amministrare la giustizia si commetta ingiustizia. Capisco che chi lo subisce sulla pelle si ribelli, fatichi a dare perdono. Io ti consiglio di affidare a Dio la capacità di perdonare. Ieri ho incontrato il capo della chiesa ortodossa d'Egitto. Sono venuto a casa colpito nel profondo da come queste persone hanno parlato dei loro martiri. Così come sono, mi sento un verme. Oppure pensiamo alla Nigeria, dove per andare a Messa la domenica uno deve mettere in conto di poter rischiare la vita. Io non sono capace di essere così, ma ci sono uomini così».

Parla di amore per sempre con Rosi, dei Vangeli con Erion, di integrazione difficile con i migranti con Ka, di molti temi con tanti. Ma parla anche di sé: «Io penso ai miei peccati. Col passare degli anni diventano molto noiosi. Confessare è un'esperienza molto dura perché magari nel tuo cuore ne hai fatte peggio di quelle che ha fatto quello che viene a confessarsi». E ancora: «Noi non siamo disposti a riconoscere i nostri errori come fate voi e a parlarne con la vostra franchezza».

Nel teatro di Bollate ascoltano in silenzio.

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