Cronaca locale

Scrittori dietro alle sbarre tra storie di vita e poesia

Da Biondillo a Lupo, in 5 istituti lombardi incontrano gli ospiti: lezioni e tante domande

Simone Finotti

La letteratura di ogni tempo è costellata di «capolavori dal carcere»: dalla «Consolazione della filosofia» di Severino Boezio al «Lungo cammino» di Mandela, dalle «120 giornate» di De Sade al «De profundis» di Wilde, dall' «Età della ragione» di Paine alla «Filosofia matematica» di Russell. Senza scomodare il Pellico de «Le mie prigioni», il Casanova dei Piombi o persino i primi capitoli del Don Chisciotte, scritti da un Cervantes prigioniero dei pirati. La cosa non sorprende, perché ogni libro, in fondo, cerca risposte alle grandi domande. E di domande, nella solitudine di quelle quattro mura, te ne vengono parecchie. Forse sta qui il segreto del successo de «I detenuti domandano perché», alla seconda edizione dopo l'esordio, lo scorso anno, in occasione di Tempo di Libri.

L'iniziativa, organizzata da Mediobanca, L'Arte del vivere con Lentezza e Kasa dei Libri, porta fino a settembre scrittori e poeti in 5 carceri lombarde: Pavia (dove gli incontri sono partiti il 19 marzo), Bollate, Vigevano e, a Milano, San Vittore e l'Istituto Beccaria. «Funziona così: un gruppo di educatori incontra i circa 200 detenuti coinvolti e raccoglie le loro domande più profonde. Queste vengono condivise con narratori e poeti che poi si recano nei vari penitenziari, accompagnati da volontari Mediobanca, incontrano i detenuti e ne discutono insieme a loro», spiega Andrea Kerbaker, fondatore della Kasa dei Libri e anima dell'iniziativa.

Sono domande che a volte hanno a che fare con la loro esperienza in carcere, ma più spesso sono quelle di tutti: perché esistono i pregiudizi? Perché la realtà non è come appare? Perché abbracciare un bambino rende felici? «Quest'anno gli scrittori che hanno aderito sono sette: oltre a me ci sono Marco Balzano, Gianni Biondillo, Isabella Bossi Fedrigotti, Umberto Galimberti, Giuseppe Lupo e Pier Luigi Vercesi. Nessuno mi ha detto di no». Ognuno porta se stesso: c'è chi, come ha fatto lo scorso anno il raffinato Mario Santagostini, è riuscito a parlare di alta poesia, e chi, come Gianni Biondillo a Bollate, ha condiviso i ricordi della sua infanzia a Quarto Oggiaro. Tutti danno e ricevono: offrono il loro tempo e la loro esperienza, per un giorno assumono un ruolo di guida, a metà fra il confidente e il «prof», che a molti ragazzi è mancato. In cambio ricevono emozioni, a volte sorprese. Confida Kerbaker: «L'anno scorso decisi di parlare del Primo uomo di Albert Camus, romanzo autobiografico dedicato al suo maestro e uscito postumo. Non una lettura facile, eppure un ragazzo lo aveva letto, e ne parlammo insieme: al di là di tutti gli stereotipi, in carcere si incontra anche la normalità, ed è forse questo ciò che sorprende di più». Ci sono anche storie forti, con cui è difficile venire a contatto, e che per chi scrive sono fonte di ispirazione. Ma i veri protagonisti sono i detenuti, aiutati a ritrovare un legame con la società: «Le statistiche dicono che per chi è coinvolto in iniziative di inclusione sociale cala drasticamente la possibilità di recidiva.

È un tema imprescindibile».

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