Cronaca locale

Scuola ghetto in via Paravia. 125 stranieri su 131 iscritti

Stessa situazione ad Affori, Giambellino e via Padova. Qader (Pd): "Così non va, servono classi eterogenee"

Scuola ghetto in via Paravia. 125 stranieri su 131 iscritti

Centoventicinque su centotrentuno. È il numero di iscritti stranieri alla scuola elementare Radice di via Paravia 83 rispetto agli italiani. Cifra che fa impressione, anche se non è nuova alla realtà del quartiere San Siro. Siamo sempre nella scuola «ghetto» dove qualche anno fa non venne «aperta» la prima elementare per il numero troppo alto di iscritti stranieri. E che vengono evitate anche dagli stranieri di seconda generazione. Nella stessa situazione la primaria di via Dolci, a solo un chilometro di distanza, dove la percentuale di bimbi stranieri è salita oltre l'ottanta per cento.

In città un fenomeno diffuso, soprattutto in quegli istituti che si trovano in quartieri multietnici come via Padova, via Vespri Siciliani al Giambellino, via Monte Velino, (zona piazzale Cuoco), via Bodio (alla Bovisa), via Scialoia ad Affori, Quarto Oggiaro, Bruzzano.

A lanciare l'allarme la consigliera Cinque stelle Patrizia Bedori: «Ieri sera ho partecipato a un incontro tra i genitori e i docenti dell'elementare di via Paravia e l'assessore all'Educazione Anna Scavuzzo. Un incontro voluto fortemente dai genitori per chiedere una soluzione a quella che ormai è a tutti gli effetti una scuola ghetto con pressoché il 100% di alunni non italofoni. Sono i cittadini che abitano nei quartieri popolari periferici - prosegue - ma soprattutto il corpo docente, abbandonato a se stesso, a farsene carico. Le istituzioni non sono capaci di dare risposte adeguate. In assenza di un sistema di rete capace che riveda i bacini di utenza e riequilibri la formazione delle classi, la situazione non potrà che peggiorare. L'integrazione deve partire da qui altrimenti qualsiasi altro tentativo sarà vano».

Dello stesso parere Sumaya Abdel Qader consigliera musulmana del Pd che sostiene come «le scuole ghetto non siano una soluzione». «Non bisognerebbe avere scuole con una così alta concentrazione di bimbi appena arrivati dall'estero o di una sola comunità. Il vero discrimine - continua Abdel Qader - infatti è se parlano italiano o meno. Le scuole dovrebbero avere come obiettivo quello di far convivere i bambini nel modo più eterogeneo possibile, con percentuali adeguate».

«Non voglio negare che ci siano delle difficoltà quando la percentuale di stranieri, preciso non con cognomi stranieri ma di alunni che non parlano italiano, è troppo alta - ammette Diana De Marchi, una carriera spesa tra insegnamento, programmi di integrazione per stranieri, ora consigliere comunale del Pd. - Le ricerche dimostrano che se nelle classi si concentra una percentuale superiore a un trenta per cento di bambini che non parla italiano tutta la classe ne risulta danneggiata. Proprio per questo è quanto mai necessario in queste scuole un organico aggiuntivo, richiesta che abbiamo già girato al Ministero e il finanziamento ai progetti contro la dispersione scolastica e per il coinvolgimento nella vita cittadina delle famiglie. A queste difficoltà - conclude De Marchi - si aggiunge il problema gravoso degli arrivi di bimbi durante l'anno».

Fenomeno più massiccio di quanto si immagini: si parla di circa quattrocento casi all'anno tra scuole primaria e secondarie di primo grado in tutta la città.

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