Cronaca locale

Le sei coop fantasma, i 1.400 lavoratori in nero e la truffa da 25 milioni

Il boss del facchinaggio era un imprenditore milanese Con la maxi evasione auto di lusso, case e orologi

Ultimamente gli era pure toccato presentare la dichiarazione dei redditi, tanto per provare a giustificare almeno in parte lo sfarzo nel quale viveva. Auto e moto di lusso, appartamenti, e una costosa passione per gli orologi e i gioielli. Tutto inutile. Da tempo, infatti, i finanzieri di Gallarate avevano puntato questo imprenditore milanese, per anni sconosciuto al Fisco, eppure in grado di mettere in piedi un piccolo - e nemmeno tanto piccolo - impero del trasporto e del facchinaggio. E alla fine, il bilancio dell'inchiesta coordinata dal publico ministero Mauro Clerici è di 59 persone denunciate, ricavi non dichiarati per 25 milioni di euro, altri 5 milioni di Iva evasa, oltre alla bellezza di mille e 400 lavoratori irregolari.

Al centro delle indagini delle fiamme gialle erano finie sei cooperative che erano tali solo sulla carta, ma di fatto erano vere e proprie società operanti prevalentemente nel settore del trasporto e facchinaggio, ufficialmente intestate a cittadini di nazionalità cingalese ma in realtà tutte riferibili ad un unico imprenditore milanese. Le pseudo-coop, che lavoravano in subappalto principalmente nel milanese ma con commesse anche in altre province, inclusa quella di Varese, rimanevano in attività per circa un anno generando volumi d'affari piuttosto consistenti (mediamente circa 5 milioni di euro), che però venivano completamente nascosti al Fisco. Di quel denaro, infatti, non esisteva alcuna traccia: le cooperative non presentavano alcuna dichiarazione fiscale. Insomma, evasione totale. Trascorso l'anno di operatività, la cooperativa veniva lasciata inattiva e se ne creava una nuova che operava nel medesimo modo. Questo meccanismo è stato adottato dal 2009 fino al 2013, anno in cui sono iniziate le indagini dei finanzieri di Gallarate.

E qualcosa deve aver intuito l'imprenditore milanese, che a un certo punto ha cominciato a farsi vivo con l'Erario. Due delle cooperative che all'epoca erano ancora attive, infatti, hanno presentato le prime dichiarazioni fiscali, limitandosi però a fornire cifre ben inferiori al reale volume di affari prodotto (e in seguito accertato dagli inquirenti), mentre la titolarità delle due società ha continuato a essere in capo a due soggetti cingalesi. In realtà, si trattava due prestanome. Parallelamente, le indagini della gdf hanno iniziato a portare alla luce l'altissimo tenore di vita dell'imprenditore, decisamente sproporzionao rispetto a quanto dichiarato al fisco. Auto e moto di grossa cilindrata come Bentley, Land Rover e Harley Davidson, appartamenti sparsi per Milano, per non parlare della predilezione per gli orologi di lusso e per i gioielli, del valore di decine di migliaia di euro, sequestrati dai finanzieri assieme a un patrimonio di 3 milioni. Infine, per monetizzare le enormi disponibilità finanziarie derivanti dall'evasione, l'uomo si era avvalso di diversi suoi dipendenti e di alcuni imprenditori amici che, in cambio di viaggi e regali di varia natura, si prestavano a riciclare il denaro attraverso 65 carte di credito.

Ma l'analisi dei flussi finanziari ha portato gli investigatori a scoprire il riciclaggio di quasi 4 milioni di euro, denunciando 10 persone per il reato di riciclaggio e 45 per violazioni alla normativa antiriciclaggio.

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