Cronaca locale

Soffici tappeti in bianco e nero da vedere Benvenuti nello (strano) mondo di Elia

«Nato soprattutto a Milano», esposizione autobiografica dell'artista Festa

Soffici tappeti in bianco e nero da vedere Benvenuti nello (strano) mondo di Elia

In quello che un tempo era il refettorio delle Stelline di Milano, oggi c'è la Galleria Gruppo Credito Valtellinese: merita una visita, la sua programmazione è attenta alla produzione contemporanea. Fino al 21 luglio, sarete accolti da soffici tappeti in bianco e nero: sono alcune delle opere che Elia Festa mette in mostra in «Nato soprattutto a Milano», una mostra-autobiografica in cui il fotografo e artista milanese racconta se stesso.

L'esposizione, curata da Fortunato D'Amico e allestita in modo originale da Matteo Fantoni, comincia nel buio della camera oscura: è quella in cui il piccolo Elia, rimasto orfano di padre a soli 8 anni, si rifugiava da bambino. Festa comincia a lavorare molto presto sulle pellicole: classe '56, a neanche quindici anni frequenta il circolo del pittore albanese Ibrahim Kodra dove apprende i rudimenti delle arti visive. Trova lavora presto all'agenzia Young&Rubicam: «Ero il più giovane: o imparavi o eri fuori», racconta. Di quegli anni la mostra ricorda i primi lavori: scatti in bianco e nero dei tram e delle michette («Simbolo di una Milano che oggi i ragazzi neanche sanno cos'è») e poi persone come Pierre Restany, Mario Giacomelli, gli artisti del Jamaica, la mitica «Rita di Brera».

Tra gli anni Ottanta e Novanta la fotografia di Festa coniuga bene il lato commerciale (memorabili alcuni suoi scatti per le campagne Breil, San Pellegrino, Moschino) e di ricerca (merita attenzione la sezione esposta dedicata al suo viaggio a Cuba: un bel reportage in bianco e nero). In mostra scorrono in parallelo i lavori di questi due ambiti: dopo la felice collaborazione con la Galleria Photology, Elia Festa capisce che vuole fare altro. Il mondo della fotografia commerciale non è più quello della dorata stagione di un tempo: abbandona, almeno in parte, la fotografia analogica per esplorare il digitale.

«Oggi siamo tutti creatori di immagini: non possiamo non sfruttare gli strumenti a nostra disposizione», ci racconta mentre osserviamo in galleria i suoi lavori recenti: fatti a computer, spesso in bianco e nero (o in colore fluo su lastra d'acciaio), sono opere dalle forme fluttuanti e ipnotiche, punteggiate da infinite connessioni. Non sono però lavori completamente astratti: «Last Supper», ad esempio, è una sorta di Ultima Cena 2.0, molto suggestiva.

Il percorso della personale di Elia Festa si chiude su una camera oscura: il cerchio si chiude.

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