Cronaca locale

Sport, politica e grandi affari: Milano diventa made in China

Dall'Inter ai palazzi storici, shopping asiatico in città Ora le nuove generazioni raccolgono fondi e «pesano»

Chiara Campo

Si stanno comprando anche il «Diavolo». Dopo l'Inter, rilevato ufficialmente il 6 giugno scorso dal gruppo Suning, nelle prossime settimane si chiuderà l'affare tra Fininvest e Sino-Europe Sports e allora anche il Milan parlerà cinese. Ennesima (e non ultima) meta di uno shopping che i colossi asiatici hanno iniziato da tempo in città e tenendo ampia la mira: calcio, fashion, imprese, immobili. La proprietà di Krizia, lo storico marchio di moda (ex) milanese, è passata già dal 2014 nelle mani della Shenzen Marisfrolg Fashion. Nel marzo 2013, ChemChina è diventato il socio di maggioranza della Pirelli. Dopo un anno, lo choc non è stato ancora del tutto assorbito. Palazzo Broggi, costruito in piazza Cordusio tra il 1899 e il 1901, ex sede Unicredit, è stato acquistato dal colosso cinese Fosun e diventerà un grande hotel a cinque stelle, secondo le ultime indiscrezioni sarà gestito dalla catena alberghiera Hilton. E a qualche centinaio di metri dal Bosco Verticale stanno nascendo i «Giardini d'Inverno», un progetto finanziato con 100 milioni di euro dalla China Investment srl del magnate Xiao Dong Zhu: 120 appartamenti tutti dotati di serre, ci saranno orti verticali, giardini pensili, non solo residenze (destinate ai cinesi che amano avere una base prestigiosa quando fanno tappa a Milano) ma anche esercizi commerciali. Una «piccola» Porta Nuova al sapor d'Oriente. Le grandi acquisizioni sono la punta dell'iceberg. I cinesi di seconda o terza generazione, laureati alla Bocconi o al Politecnico, hanno il business nel dna. Basti pensare alle «naul spa» che offrono servizi di manicure ed estetica: in due anni sono diventate una mania per le milanesi e le catena più diffuse («Tong Tong» o «Wow Nail» tanto per citare) hanno vetrine in centro anche a brevissiam distanza, da Brera a Magenta, zona Castello, tribunale. Secondo gli ultimi dati della Camera di Commercio di Milano, le imprese di cinesi in città (anno 2015) sono 5891, il 12% di quelle straniere (sono secondi dopo gli egiziani) e rappresentano il 9% delle aziende cinesi in Italia. C'è stata una vera e propria impennata (del 50&) negli ultimi sei anni: nel 2010 erano 4.023. I titolari uomini sono 3.140 e le donne 2751, quasi la metà. Gli under 30 sono 934 (il 16%), ben 3.733 aziende (il 63%) sono in mano a titolari che hanno tra i trenta e i 49 anni, 1.180 sono nella fascia tra i 50 e 70.

Chinatown è una terra a sè? La nuova generazione sta provando a sfatare il mito. Per la prima volta, lo scorso febbraio i cinesi hanno partecipato alle primarie del Pd, un evento che ha sollevato anche critiche e sospetti, ma di fatto si è alzata l'attenzione nei confronto della comunità durante la campagna delle amministrative. E il sindaco Beppe Sala tre settimane fa ha ricevuto da una delegazione il maxi-assegno di 89mila euro raccolti tra via Sarpi e dintorni per le città terremotati. Saranno utilizzati per ricostruire la sede del Comune af Amatrice. «Spero che alla prossima tornata si faccia avanti anche un candidato cinese» ha auspicato di recente Sala. Certo gli investimenti asiatici hanno già un peso che la giunta non può trascurare. Milano consegnerà al Dalai Lama in arrivo a Milano il 21 e 22 ottobre la cittadinanza onoraria, così aveva deciso l'ex consiglio comunale.

Per non «turbare» il consolato cinese, la cerimonia avverrà al teatro dal Verme e non a Palazzo Marino, e non parteciperà il sindaco.

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