Cronaca locale

Storie ed eroi in "borraccia". Il ciclismo non è un'utopia

Quattro scrittori milanesi raccontano la stagione 2018 Imprese e sconfitte di chi non sempre pedala tra i primi

Storie ed eroi in "borraccia". Il ciclismo non è un'utopia

Ci sono modi e modi di raccontare il ciclismo. Quello di «Bidon», la borraccia in francese, ma soprattutto il sito di ciclismo realizzato da quattro appassionati giovani scrittori milanesi, vola alto. Insegue i dettagli, le storie i personaggi che non necessariamente sono quelli vincenti. Anzi. E' un ciclismo che pedala verso l'orizzonte. Un ciclismo dei sogni che sta sempre un paio di minuti avanti a quello dei muscoli e delle gambe. Che li rincorre a prescindere dalle possibilità di realizzarli. Che esalta rincorse, imprese visionarie, emozioni che spesso si strozzano in gola. E' il ciclismo di Francesco Bozzi, di Filippo Cauz, di Leonardo Piccione, di Riccardo Spinelli e che ha trovato la sintesi in «Chissà che l'utopia non vinca» un libro edito da StreetLib che racconta con una serie di storie la stagione ciclistica dello scorso anno. Quella di Bidon è una squadra che sta sul bordo della strada, sui divani, sugli sgabelli dei bar cambiando visuale e prospettiva alla routine del pedalare. Che sovverte le classifiche, si innamora dei paesaggi, dei ritratti, delle storie e dei dettagli che sfuggono, lontani dalle cronache, dalle vittorie, dai podi. È il ciclismo dei sogni impossibili che vanno oltre logica e contraddizioni, che spesso svaniscono a tre chilometri al traguardo e proprio per questo perfetti. Chissà che la bicicletta non sia il mezzo perfetto per trovare il punto di incontro tra fantasia e tenacia, chissà che non riesca a mettere insieme una volta per tutte volontà e speranza, «Chissà che l'utopia non vinca» davvero. Il libro prende spunto dal folle volo di Steven Kruijswijk verso l'Alpe D'Huez al Tour, impresa disperata e perfetta, solitaria, contro tutti, un assalto al cielo naufragato al cospetto della razionalità di chi lo inseguiva. Ma poco importa, anzi. Da lì si comincia per mettere insieme tutto, una stagione ciclistica in un serie di storie in cui si intrecciano sogni, uomini, corse, le pietre del Patenberg. Un omaggio a chi pedala, a chi legge e a chi scrive. Un libro dove trovano spazio Ernest Hemingway e Niki Terpstra, dove tra Froome, Rogli e Obree spuntano Giotto e Garcia Márquez. Dove si ritrova lo sguardo lungo di Egan Bernal, predestinato a lasciare il segno. Dove si parla di fratelli, di Marco Scarponi, della sua battaglia attuale e della Filottrano orfana di Michele. Racconti ma anche due lunghi diari giornalieri, quello di Eugert Zhupa dal Giro d'Italia e quello dal Tour de France che aiutano a rincorrere quell'orizzonte che sfugge. Scriveva Eduardo Galeano: «L'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si allontana di dieci passi.

Per quanto cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare»

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