Cronaca locale

"Sul palco vi farò sorridere coi maestri della letteratura"

L'attore dà il via ai "Giovedix" al Franco Parenti: "Io, ex scrivano, racconto i miei scrittori preferiti"

"Sul palco vi farò sorridere coi maestri della letteratura"

«A sentirmi stasera ci sarà anche mia mamma, grande lettrice ancora adesso, a 90 anni. E avrà paura: leggo Edgar Allan Poe, passaggi dove ci sono i topi. Alla mamma basta la parola per farla tremare». Avviso per la signora mamma di Gioele Dix: non legga quest'articolo, o salti la riga dove si ricordano i topi. Per il resto che si goda i Giovedix del figlio, successo acclarato al Parenti («siamo partiti nella sala più piccola, poi il foyer, ora la sala grande»). Stasera, alle 18.30, biglietto 15 euro, sarà il primo della nuova serie. «Settanta minuti dedicati al maestro dell'orrore. Leggerò La botte di Amontillado nella traduzione di Giorgio Manganelli, poco rispettosa dell'originale. Poi Sepoltura prematura, più noto come Sepolto vivo: è il timore di tutti».

Proseguirà con la letteratura americana, nei prossimi giovedì, vero?

«Sì, le rassegne al Parenti sono nate portando al pubblico le cose che mi piace leggere. Autori da raccontare, utilizzare per collegamenti, o link come si dice oggi, tra idee e letteratura. Quest'anno, d'accordo con la mia collaboratrice Irene La Scala, siamo più monografici. Dopo Poe, tocca ad altri astri americani: Melville, Carver, Forster Wallace. In scena ci sono sempre io, una scrivania e libri da aprire».

Di Melville, il 23 febbraio, leggerà "Bartleby lo scrivano", contraltare del più noto e massiccio "Moby Dick". Come mai?

«Sono affascinato da Bartleby, l'impiegato che a ogni richiesta risponde preferirei di no. Ma farò collegamenti con Moby Dick e anche con Conrad. Melville è uno dei miei imprinting letterari. Fin dal liceo, quando il professor Mario Spegne - ex prigioniero di guerra in Germania, comunista gramsciano, uomo che fumava 120 sigarette al giorno, poi diventato preside del Parini e del Cremona - ci diede un tema partendo da una poesia di Melville. La scrisse sulla lavagna, senza dir nulla, e lasciò la classe. Dava con facilità 3. Io presi 8 e mezzo. Al mio tema scrisse il commento di una pagina. Ecco, ogni Giovedix penso al professor Spegne, e lo ringrazio».

Lei ha scritto libri, uno sulla storia della sua famiglia di ebrei milanesi. Si sente scrittore?

«Roland Barthes diceva che chi scrive si divide in due categorie: scrivani e scrittori. Con Quando tutto questo sarà finito, uscito nel 2015, ho avuto la sensazione di aver lasciato gli scrivani. Ci sono riuscito dando voce, in prima persona, a mio padre Vittorio Ottolenghi».

Che tipo di lettore è David Ottolenghi, in arte Gioele Dix?

«Ho letto tutto Simenon e imparato da lui che se un libro non ti acchiappa alla seconda pagina puoi chiuderlo senza rimpianti. Non ho l'ossessione di finirlo, un romanzo o un saggio. Una biblioteca è fatta anche di libri che non finirai mai».

Il filosofo Adorno diceva che i libri ci parlano anche senza aprirli. Addirittura che parlano tra loro, se il caso li mette vicini di scaffale. È così?

«Forse. Minima moralia di Adorno è una delle mie ultime letture, meglio aprirlo che lasciarlo chiuso».

Altre ultime letture?

«Ammaniti, il suo Anna. Poi gli articoli di Jonathan Franzen, il Mordecai Richler di Quest'anno a Gerusalemme. E, vera sorpresa, Il collo mi fa impazzire, di Nora Ephron».

A che servono i Giovedix?

«Non pensate siano dotte lezioni noiose. Cerco sempre di trovare il lato ironico, l'ho fatto anche con Madame Bovary. Leggere e parlare di letteratura serve a combattere il torpore».

C'è torpore a Milano?

«Meno che altrove. È una città vivace, e lo so bene io che ero allievo di Franco Parenti e ho calcato le scene del Ciak e dello Smeraldo. Ma si può fare meglio.

Torino, secondo me, ha una tacca in più in quanto a offerta culturale e artistica».

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