Cronaca locale

Le tele iperrealiste di Francesco Gentilini nel refettorio della Biblioteca del Daverio

L'artista-architetto espone paesaggi «on the road» dagli anni '80 ad oggi

Francesca Amè

Una biblioteca senza libri né prestiti, ma concepita come spazio per accogliere l'arte e la cultura: è la Biblioteca del Daverio di piazza Bertarelli, e merita una visita. Si trova nel refettorio di un antico convento, sui resti del quale sul finir del Settecento è stato eretto il palazzo. Dentro c'è uno splendido affresco: è una «Crocifissione» di Donato Montorfano, pittore quattrocentesco della cosiddetta «linea lombarda» che è una sorta di gemello dell'affresco che occupa la parete opposta al Cenacolo vinciano (sì, nei pochi minuti in cui si sta dentro di solito ci si concentra sul capolavoro di Leonardo ma anche la «Crocifissione» è notevole). Fino al 5 giugno c'è un motivo in più per recarsi alla Biblioteca del Daverio: il padrone di casa, il noto critico d'arte Philippe Daverio, presenta e cura «Istanti», una personale di Francesco Gentilini, che è pittore oltre che architetto. Entrando, sfilano uno dopo l'altro venti oli su tela che l'artista ha realizzato negli ultimi trentacinque anni, dagli anni Ottanta ad oggi. A tratti, pare di essere davanti a poster cinematografici: colori pieni e sature, immagini che strizzano l'occhio all'iper-realismo americano. L'atmosfera è quella delle tele di Hopper, anche se Gentilini preferisce una luce meno soffusa, meno umbratile. E il nome del grande artista americano è sulla bocca anche di Daverio quando commenta il lavoro di Gentilini: «I suoi lavori sembrano recuperare quel senso del vuoto metafisico che si denota facilmente nell'opera di Edward Hopper a cui si aggiunge una certa luce tipica di pochi grandi fotografi, uno fra tutti Luigi Ghirri. Anche Gentilini nei suoi quadri ricrea la rarefazione dei paesaggi che coglieva il fotografo con la sua macchina, unita all'importante capacità di catturare la luce della realtà», dice. Vero: «Lambretta», dell'88, strizza l'occhio alla celebre scena di «Vacanze romane» ma sposta al scena tra le dolci colline dell'Appennino. E l'Emilia Romagna, tra Modena e le spiagge lunghe e larghe dell'Adriatico, è uno dei luoghi maggiormente presenti nell'iconografia di Gentili. Non un caso: oltre ad essere la sua terra d'origine, è uno spazio «on the road» che per molti versi interseca le atmosfere americane. Dal «Sapore di Sale» della riviera romagnola si passa alle case di Londra e di Parigi fino ad arrivare ai paesaggi spagnoli, mescolando spazi e situazioni vissute dall'artista a suggestioni, sogni, immagini viste chissà dove. «Le storie che dipingo vengono da un posto non definito, da un matrimonio della fantasia con la realtà» conferma lo stesso Gentilini.

Significative le tele che ritraggono persone: sembrano ciack cinematografici: «Vulcano si sofferma su un anziano-arrotino che pare l'improbabile eroe di qualche commedia come l'uomo affacciato alla finestra in La domenica mattina», una tela del 2010.

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